mercoledì 26 febbraio 2014

Incroci e corde di chitarra



Una leggenda del blues racconta che un musicista ha sepolto una corda della sua chitarra ad un incrocio come pegno nel suo personale patto col diavolo.
Non era un musicista particolarmente bravo o ispirato. Lui suonava . Voleva vivere suonando ma non ne aveva assolutamente i mezzi. Da qui il patto. Le solite cose: fama, gloria e belle donne in cambio di un anima immortale. Ma alla base c'era la musica. Una corda di chitarra come pegno e un incrocio come studio notarile.
Un incrocio, chi sa perché il diavolo ama tanto gli incroci. Forse perché è qualcosa che si lega perfettamente alla vita e a quello scherzo chiamato “libero arbitrio”.
Gli incroci, posti complicati. Che tu sia un guidatore diretto al posto di lavoro o un'anima affranta nel mezzo del cammin della tua vita gli incroci sono posti importanti.
Forse è perché si legano indissolubilmente alla vecchia domanda: “cosa sarebbe successo se avessi girato a destra invece che a sinistra?” oppure..

“... E se avessi allungato un braccio nel letto per toccarle il fianco?”
“... e se gli avessi detto veramente cosa pensavo?”
“... e se avessi accettato quel lavoro?
“... e se qualcosa mi stesse aspettando dietro la prossima curva?”
“... e se...”




“...e se avessi sbagliato strada?”


Dio, qualunque dio, è sempre pieno di certezze. Noi però viviamo nella dimensione dei forse: forse riuscirò ad avere una storia con lei, forse lui mi richiamerà, forse non mi ama abbastanza, forse non sono ancora i grado di gestire questa situazione.

Forse...

al diavolo piacciono i forse. Perché il diavolo è una persona lungimirante. Lui pensa al futuro non al presente. È uno bravo nel suo lavoro perché quello che a noi ha sempre fatto paura è il domani non l'oggi. L'oggi è sopportabile, gestibile, arginabile, alle volte godibile. Il domani è incerto, misterioso, infido, bastardo.

E quindi torniamo al nostro musicista sospeso nel nulla della non scelta: essere uno tra i tanti che aspettano il colpo di fortuna o essere il più grande. Essere l'anonimo sottofondo di un incontro casuale nella notte di martedì grasso o il centro di un uragano di follia e corpi sudati di un giorno qualunque?

Per questo una corda di chitarra, un incrocio in una strada sterrata e un patto che ha come postilla un eternità di dannazione.
Non li ho mai capiti i patti col diavolo: un eternità di dannazione in cambio di qualcosa che sai che a breve finirà. Perché la vita e sempre breve e dopo la prossima curva potrebbe sempre esserci una strada sbarrata e un posto di blocco. Uno di quelli tenuti da un poliziotto costretto a lavorare nel suo giorno libero.

Ma intanto da qualche parte qualcuno suona un ritmo travolgente privo di qualsiasi criterio logico se non il caos che ha dentro. Decine e decine di corpi sudati agitano nella penombra trascinati dalla corrente. Negli angoli bui le donne gemono e gli uomini ridono. E tu al centro di questa marea che non rifluisce mai. Da qualche parte nel futuro il locale chiude e le donne delle pulizie si affannano a tirar su vomito e altre cose innominabili. Fuori splende il sole la gente rispettabile e noiosa va al lavoro guardando con disprezzo gli ubriaconi della sera prima che smaltiscono la sbronza.

Forse è questa l'essenza del patto, il vantaggio che ne ha il contraente: sapere che prima o poi il locale chiuderà, che alla fine la festa finisce, le che si riprende le mutande e se ne va. Sapere che alla fine tutto risulterà inutile e squallido.

Domani.

Ma oggi, stasera, c'è solo una notte senza luna che accompagna il ritmo della tua musica.
Domani...


domani si vedrà.

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