venerdì 26 aprile 2013

Riti propiziatori




Mancano sei mesi e ora e solo ora posso dire che io so un mare di cose che prima ignoravo. Come trattare coi disegnatori, come scrivere una sceneggiatura che davvero si capisca, come farsi venire un esaurimento nervoso e come fare i debiti con il tuo socio.
Senza contare di come ingannare la gente facendogli credere che tu (si proprio tu e tu solo) sei la loro grande occasione. Lorenzo ha ragione: in questo mestiere la differenza la fa la faccia di culo e poi, molto poi, il talento. Perché è con la faccia di culo che ti fai notare. Il talento entra in seconda battuta.
Ma sto vaneggiando.

Ora so come si è sentito Luke Skywalker la prima volta che gli hanno detto “tu sarai uno jedi”.
Ora so come l'ha presa Sam quando gli hanno detto che quel fesso di Frodo doveva portare l'anello.
Ora so cosa si prova a leggere la scritta “dont panic” sulla guida.
Ora so cosa prova il generale della Guardia Imperiale quando gli dicono che deve conquistare quel pianeta pieno di alieni.
Ora so come ci si sente quando si schiudono le uova di drago.
Ora so ma devo ancora guadagnarmi l'onore della spada laser.

Domani si inizia.
Valerio, Valentina, Vale, Gabriele, Valentina n°3, Marco ecc ecc. uso questa antica formula propiziatoria della mia gente. Sperando che gli dei siano con noi:

C'a Maronn' c'accumpagn' e si propri ess' ten che fa almeno mannass' a ccoccurun.



sabato 20 aprile 2013

Il segnale


Montecitorio. La presidente ha appena chiamato il suo nome. Si aggiusta la giacca alzà per un attimo gli occhi al cielo con fare teatrale e si avvicina al banco. Nell'aula i suoi sono radunati in gruppetti, si guardano circospetti mentre nella sala entrano gli altri deputati.
Tutto è pronto.
Arriva al banco prende la scheda e poi osserva con fare calcolato la platea davanti a se. Sono tutti d'accordo, la riunione di ieri ha dato i suoi frutti. Solleva il braccio con la scheda in modo che sia ben visibile e poi la infila nell'urna a segnalare il suo non voto.
È il segnale.
Secondini pagati nottetempo chiudono le porte dell'aula sbarrandole dall'interno. Qualche deputato prova a darsi alla fuga. Ma è troppo tardi qualsiasi presentimento avesse è oramai troppo tardi. Dai piccoli capannelli di compagni di partito i deputati si girano armi in pugno. Il rumore metallico dei caricatori rimbomba nell'aula.
Sorride, manca poco. Vede tra la folla un uomo con un gigaro in bocca e un'automatica in mano. Punta verso di lui. Grida qualcosa, un'invettiva probabilmente. Punta e spara.
Manca.
Fa giusto in tempo a meravigliarsi prima che una raffica di mitra lo tranci in due. Ma non tutto fila liscio. I grillini si nascondono tra i banchi mentre il nemico tira fuori le armi e risponde al fuoco. No, non il nemico, i nemici. Ci sono almeno tre fronti organizzati in aula mentre anche i grillini cercano di recuperare un arma per are salva la vita.
I presidenti di camera e senato esplodono in una macchia di sangue ed interiora. La loro posizione soprelevata li rende solo dei bersagli più facili. Nel rombo dei proiettili la Bindi, seminuda e coperta di sangue, corre verso di lui con un coltellaccio improvvisato. Para con l'Ipad, si tuffa di lato allunga la mano in cerca di una pistola e la trova nelle fredde mani di un montiano. Prende la sobria pistola placcata in oro e spara tre colpi. Al settimo il corpo della Bindi smette di dimenarsi. Si alza sporco di sangue e cervella.
È tutto finito. I grillini sono allineati contro un muro. Inginocchiati con le mani dietro la nuca. Alcuni parlamentari li deridono chiedendo cosa vogliono twittare ora. I suoi uomini girano per l'emiciclo distribuendo qui e lì proiettili ai sopravvissuti. Altri si dedicano a stupri e saccheggi tra i banchi. Alcuni dei suoi sono poco più che bestie, non importa, l'importante è che facciano il loro lavoro. Alessandra Mussolini grida oscenità mentre un gruppo di deputati la trascina urlante verso il cappio. Qualcuno le sputa addosso, uno tira fuori l'uccello, ci pensa un po' e poi lo rimette dentro “non meriti nemmeno il mio piscio troia” dice ridendo.

Due ore dopo, nella sala conferenza del parlamento si comporta come se non fosse coperto di sangue e cervella, come se non fosse successo niente. Come le Montecitorio non puzzasse di cordite e merda e sangue.
I giornalisti capiscono l'antifona, lui sorride, loro guardano basso. Prende fiato
“Finalmente siamo giunti ad un accordo...”






Matteo Renzi si sveglia sudato nel suo letto. La sua erezione si alza prepotente tra le lenzuola. Sorride al buio. Assapora le sensazioni del sogno: l'odore della paura, il tuono degli spari, la sensazione di trionfo.
È solo, che male c'è.
Ride, un crescendo che deborda rapidamente nel maniacale.
Magari per sa.
Magari.

giovedì 18 aprile 2013

Due righe di complotto

E se...
Bersani e Berlusconi si trovano concordi sulla figura di Marini come presidente della repubblica. Il PD va in fermento per la decisione del segretario, volano parole grosse. Si minacciano scissioni, si discute fino a notte fonda.
I Cinque Stelle propongono il loro nome. Nessuno se li caga ma loro tirano diritti per la strada che si sono scelti. Eppure è strano: una volta tanto la proposta dei Cinque Stelle ha senso. Non è la solita trovata per far finta di far qualcosa. È un nome che si può fare. Ma Bersani si è incaponito. Ha perso così tante volte che ora vuole provarci a tutti i costi. Dovesse esplodere il paese.
La mattina dopo si fa la votazione.
E qui inizio a fare la fantapolitica.
I deputati Cinque stelle votano chi hanno detto che avrebbero votato. I deputati del PD votano per Marini turandosi il naso e pregando che il segretario sappia quello che sta facendo. Il PDL segue le direttive: disperde il voto.
Il voto è segreto. Non si sa chi ha votato chi si sa solo che Marino non arriva al quorum quando la matematica direbbe il contrario. Nessuno si aspetta niente di diverso da una spaccatura nel PD perché è nella natura del PD andar per margherite quando invece bisognerebbe star dritti in formazione e fare la fottuta cosa giusta. Quale? Quella che la gente ti grida da 40 anni.
Nessuno si aspetta che Berlusconi faccia un accordo e poi lo tradisca dalla sera alla mattina. O meglio: nessuno crede che Berlusconi sputi su qualcosa che lo fa uscire assoluto vincitore.

A meno che Berlusconi non stia puntando a vincere la Guerra e non la battaglia.
A meno che Berlusconi non sia il più grande stratega politico del secolo.
A meno che non sia tutta una trappola.

Cosa succede adesso?
Il PD si annichilisce. Tutti quelli che l'avrebbero votato sputano sul simbolo e poi si guardano intorno in cerca nella nuova speranza. È scritto nel cielo che le elezioni sono dietro l'angolo. A questo punto Grillo ha l'occasione di fare la volata finale. Ma chi sono gli elettori di grillo? Uno zoccolo duro di votanti che ci credono fin dall'inizio e vari strati di malcontento che hanno votato Grillo per mandare gli altri a casa. E lì in mezzo c'è di tutto: ex-PD ex- Pdl.
Dopo mesi di campagna elettorale dove Berlusconi si proporrà come il Cristo Redentore tornato dalla tomba (e manco ha tutti i torti), l'unico che ha fatto la “persona seria” (almeno nelle apparenze) vuoi vedere che non si riprende i suoi voti che sono confluiti nei Cinque Stelle?

È il delitto perfetto.
È il piano del secolo.
È l'All-In definitivo

Sarebbe bello credere che tutto questo sia un piano machiavellico del solito B. sarebbe bello pensare che sia tutta colpa e merito del re del crimine di Arcore. La verità che siamo alla resa dei conti. All'apocalisse totale dove un'idiota (Bersani) si ostina dove non c'è speranza di riuscire.

Ora i casi sono due. Ci saranno le elezioni a breve. Il tempo di fare il presidente e poi si rivoterà. Sono già tutti in campagna elettorale a questo punto:
O Grillo e tutto quello che ne consegue.
O altri cinque gioiosi anni di Berlusconi.
E intanto i mercati continueranno a incularci con la sabbia.

Ora mai per trovare una falce e un martello non c'è che andare dal ferramenta.

Bene bravi continuate così.  

Incidenti domestici


Sono le dieci e mezza di sera. Oltre la mia porta, ora che ho tolto le cuffie, sento arrivare più voci del solito. Voci spagnole, voci fastidiose. Sembra che lo spagnolo, oltre ad esser lingua caliente ha un'altra caratteristica: un altalena fonetica dettata dagli accenti che fa uno strano effetto all'orecchio umano.
Sentir parlare questa gente è come stare in mezzo alla strada e discutere con un tizio che sfreccia in auto urlando. Quando è vicino il rumore è eccessivo, quando è lontano si fa borbottio indistinto che promette di crescere.
Ecco, i Carlos riescono ad ottenere quest'effetto stando fermi. Le ospiti dei Carlos hanno un livello di decibel nella normale conversazione tale da far tremare le vetrate. Sarà una lunga notte mi dico.

Esco fuori per fumare la sigaretta della buona notte sul balcone. Il soggiorno è occupato da Carlos 1 e una tizia che chiacchierano con una bottiglia di vino tra loro. Lei è carina, capelli neri ricci sorriso contagioso e fisico ben curato. Dal loro gioco di sguardi mi faccio una mezza idea di cosa succederà più tardi.
Mentre tiro dentro lo stendino dal bagno esce lei. Si sentono cori angelici mentre il più spettacolare paio di seni che abbia mai visto precede l'apparizione di Miss Spagna. Non è descrivibile e quindi non mi sforzo proprio. Indossa una cannottiera verde che da tutta l'impressione di essere di una taglia più piccola lasciando intravedere la pancia piatta. Si aggiusta i capelli biondo scuro dicendo qualcosa agli amici. Non fa caso a me e sembra perfettamente a suo agio anche se indossa solo delle mutandine verdi e delle scarpe col tacco.
Senza contare che c'è un morto di figa che sposta uno stendino fissandola con mezzo metro di lingua di fuori.. la venere va nell'altra stanza, abbraccia Carlos 2, che ora ha tutto il mio rispetto, mentre una terza voce femminile fa capolino dalla porta.
Mi sento come se fossi caduto in un film porno.
Faccio qualche tentativo di comunicazione, tutti falliscono miseramente. Sarà paranoia mia ma qui sembra che si stiano preparando per un'orgia. Tra abbracci risate e frasi misteriose dette con facce ammiccanti sembra che tutte stiano con tutti.
I Carlos prendono possesso di una delle singole e la arredano a stanza degli ospiti di fortuna. Cala il silenzio per un po'. Io torno in camera.

Notte. Sono le tre del mattino circa. Io come al solito sto ancora sveglio perché mancano “solo” ottanta pagine alla fine del libro e tanto vale finirlo adesso. Sembrava una buona idea quando mi sono messo a letto all'una, ora non tanto.
TUMP!
Il muro di lato che confina con al camera degli ospiti improvvisata.
TUMP!
Parole in spagnolo che vorrebbero essere sussurrate. Prima un lei poi un lui.
TUMP!
TUMP!
Non ci vuole un detective. Cerco l'ipod prima che sia troppo tardi. I rumori si fanno ritmici si aggiunge il tipico “gnek” dei materassi di qualità che popolano le case studenti. Vanno avanti per un po' ogni tanto lei o lui fanno dei versi di una certa importanza.
Poi...
Un CRASH! Un TUMP! BUMP! E infine un KRAK!
Un grido di dolore femminile la voce di un Carlos che dice qualcosa in spagnolo. Suona tipo come “oh, cazzo!”
Dall'altra stanza esce qualcuno, voci, una discussione. Una ragazza che piange i due Carlos che discutono e un'altra ragazza che bestemmia. La disccussione sale e si sposta in soggiorno, poi in bagno poi le voci si calmano. Una porta che si chiude e silenzio.
Sono le 4 del mattino.

Ore 9 e qualcosa, mi sveglio, faccio il caffè e giro per casa. Le stanze dei Carlos sono vuote. Nel nido d'amore c'è la seguente scena: un letto disfatto, il materasso sbilenco, un mucchietto di vestiti buttati per terra. Al centro della stanza una lampada da comodino fracassata. Accanto al letto un mucchietto di legno che una volta era il comodino.
La scena mentale si forma naturalmente. Un Carlos e una delle ragazze sono intenti in attività ludiche del tipo migliore. Il letto è un singolo e Carolos è già grosso di suo, in due si sta scomodi. Lei, in cerca di una posizione comoda poggia una mano sull'angolo del materasso e un altra sul comodino. Carlos fa il suo lavoro ma nessuno dei due ha tenuto conto di due cose: il materasso che è leggermente più grande della rete e il comodino costruito da un falegname pazzo che voleva far economia sui chiodi.
Carlos fa il suo lavoro, il bordo del materasso si flette sotto il peso di lei che è costretta, per tenersi in equilibrio a caricare tutto il peso sul comodino. Il mobile diversamente integro si inclina. La lampada cade fracassandosi. Qualche istante dopo i chiodi che mantengono l'integrità strutturale del comodino prendono i cappotti, pagano il conto e salutano tutti.
Il tavolino cede. Lei è con metà busto oltre il bordo del letto con uno che la spinge da dietro. La fisica elementare fa il suo lavoro e la poveretta cade faccia in avanti sbattendo un po' sul pavimento un po' sul fu comodino e sulla fu lampada.
Come si dice il resto è storia.

martedì 16 aprile 2013

Alla fine c'ha ragione berlusconi



Mi rendo conto della gravità delle mie parole. Mi sanguinano gli occhi sono a digitare queste parole ma la verità è quella cosa che non piace a nessuno. Quella cosa che ti fotte il cervello e ti lascia sbavante sul marciapiede a chiederti chi cazzo te l'ha fatto fare di credere a tutte le balle quando era così ovvio che stavi sbagliando.

E quindi si, lo ripeto: ha ragione Berlusconi.

I mari si seccano, la terra trema. Alla sede della Bonelli qualcuno legge i miei soggetti, decide di chiamarmi per dirmi quanto gli sono piaciuti e poi muore, ucciso dal karma negativo di questa frase.
Ma riepiloghiamo che poi sembra che sia pazzo o che quelli dei Circoli della Libertà mi hanno rapito e convinto a passare con loro con frasi tipo “passa al lato oscuro, noi abbiamo la figa. Non quelle fighe comuniste. Gnocca vera.”

Monti da le dimissioni, si va a votare e scopriamo che il PD (da vero professionista) non riesce nemmeno a vincere quando tutto il mondo lo da favorito. Grillo fa quello che ha fatto e Berlusconi ci mostra un esempio pratico del nostro incubo peggiore.
Così dalle urne esce il risultato chiarissimo che ci chiedeva l'Europa, il mondo e la Federazione Galattica.
Stallo alla messicana. Bersani dice qualcosa che suona come un “ok io ci provo” con la voce di chi ha tirato su la pagliuzza più corta. Berlusconi dice “larghe intese”perché fare le larghe intese col PD per lui è come governare ma dando la colpa agli altri. Grillo, in coerenza con le sue idee, segue il consiglio dei rettiliani e dice “o governiamo noi o fottetevi”.
Così tanto per essere chiari con gli elettori del PD che già si aspettavano un appoggio al governo Bersani. Che poi poteva essere una così bella idea: il PD governa ma non può fare nessuna merdata che i grillini li tengono per le palle con la fiducia. Non so perché ma a me suonava bene.
C'è solo un problema: Grillo non ha nessun intenzione di andare al governo, anche lui vuole che gli altri facciano le larghe intese. Così può continuare a dire peste e corna. L'importante è far finta di far qualcosa col proprio elettorato: streaming, votazioni online per qualunque stronzata e un sacco di proclami di austerità parlamentare che lasciano il tempo che trovano.
Bersani è cosciente che fare le intese con Berlusconi equivale a un Harakiri politico del PD. È convinto che andare a chiedere la fiducia in parlamento qualche grillino meno talebano lo appoggi. Intanto tra elettori e dirigenza PD si esercita l'autocritica del post derby: tutti a dire “eh, se candidavamo Renzi” come se Bersani fosse stato imposto dallo Spirito Santo.

Che poi è facile a fare i renziani. Basta riempirsi la bocca di ovvietà. Renzi è quel tipo di persona che lascia decidere agli amici dove andare a mangiare e poi si lamenta che il locale fa schifo. Quello che dice “io te l'avevo detto” solo dopo che l'hai fatto. Quello pieni di buoni consigli col senno di poi. Quello che la colpa è sempre di qualcun altro. Quello che, fosse uno della tua comitiva, lo prenderesti a calci tutti i giorni perché è uno stronzo.

Bersani va a piangere da Napolitano che nessuno gli da la fiducia. Il presidente in scadenza di mandato si guarda intorno e inventa una bubbola per tenere tutti buoni in attesa che scada il suo mandato e la patata bollente passi a qualcun altro.
Grillo chiede l'incarico per i suoi perché “il popolo ha scelto noi”. Eh no bello. Un terzo del popolo ha scelto voi e se i comunicatori del PD sapessero fare il loro lavoro sarebbero stati anche meno di un terzo.

E Berlusconi? Lui continua a gridare la sua disponibilità alle alleanze perché non ha niente da perdere e tutto da guadagnare. Larghe intese: significa eliminare il PD. Uccidere i suoi deputati, far strage delle loro mogli e prendere schiavi i figli. Significa essere il re delle macerie alla prossima tornata elettorale, quando un paese disperato lo acclamerà come presidente galattico perché le sue balle sono meglio di qualsiasi verità, perché tra l'originale (Berlusconi) e la copia (Grillo) la gente tornerà da lui. Alle prossime elezioni il Movimento 5 stelle pagherà lo scotto del caos che sta portando avanti e LUI, unico e solo risorgerà dalle ceneri.

Intanto in Italia la gente perde il lavoro, si ammazza, le fabbriche chiudono e Berlusconi rischia la galera se non rimette le mani nella stanza dei bottoni. Per cui bisogna fare presto a risolvere sto casino. Ma presto tipo l'altroieri.

La verità è che nella classe politica vecchia e nuova si è diffusa la consapevolezza che essere l'opposizione è incredibilmente più semplice che fare il Governo. Fare l'opposizione significa stare lì, gridare ogni tanto alla dittatura ed al complotto e dire “eh ma io l'avrei fatto meglio”. Se l'Italia fosse un cantiere su una strada dove sono straripate le fogne l'opposizione sarebbe rappresentata dagli anziani che guardano.
Di contro, il povero operaio con le braccia nella merda fino ai gomiti, la cicca in bocca e lo sguardo truce è il governo.
Ecco nessuno vuole essere l'operaio adesso.
È facile guidare una ferrari a 200 all'ora sul lungomare Caracciolo. Ma se la stessa ferrari falciasse quattro persone e poi finisse contro un muro tu accetteresti di fare cambio posto col guidatore?

venerdì 12 aprile 2013

Mia cara e dolce Giulia


Quando non riesco a dormire penso a Eataly. Per qualche motivo quel posto orribile mi si deve essere infilato in profondità nel cervello in quel mesetto scarso che mi ha visto come dipendente e protagonista della “nuova Italia che cresce” o qualunque altra sia la stronzata altisonante che usano come motto.
A guardarsi indietro adesso non è stata una bella esperienza. Per niente. Settecento euro guadagnati in cambio della completa distruzione di ogni briciola di autostima che abbia mai posseduto sul posto di lavoro. Intendiamoci non è che io sia una cima tra i lavoratori ma dopo gli anni del Conad pensavo che il mio l'avevo fatto. Ero fermamente e intimamente convinto che un lavoro (per quanto completamente privo di gratificazioni) lo sapessi fare. Che cazzo, affettare il prosciutto alla gente! È come andare in bicicletta: un sorriso finto affettuoso un “cosa le do oggi bella signora?” e un “che faccio lascio?” detto con tono di finta scusa pensavo bastasse.
Ha funzionato per due anni al Conad ai Ponti Rossi a Napoli. Una di quelle zone popolari dove la fila per il prosciutto è l'anticamera di rivoluzioni, dove si lotta per ogni singola oliva e dove la frase più gettonata era “e ja fammo'prezz buon cà so client!”
Ma, evidentemente, ero stupido e ingenuo. Non che la cosa fosse un problema, di lì a poco sarebbe arrivata la saggezza sotto forma di un incidente sulla via dell'evoluzione dalla forma di donna coi capelli tinti di rosso: Giulia.
C'è un tipo di persona che ti sconvolge la vita. Che prende le tue certezze e le tratta come un ragioniere gracilino che per sbaglio è finito a fare da avversario a Tyson. Quel tipo di persona che ti fa provare quello che provarono i dodo quando gli dissero che l'evoluzione aveva puntato sulle scimmie e loro non erano più richiesti.
L'unica altra persona così che ho trovato sul posto di lavoro era Don Gennaro, il padre-padrone del Conad. Lui e Giulia avevano moltissime cose in comune: scarsa pazienza, alti standard e quella ferrea convinzione che se il Padreterno avesse messo in mano a loro l'organizzazione del creato loro avrebbero fatto di meglio. C'era solo una differenza tra i due: Gennaro, con tutti i suoi difetti, puntava a farti migliorare perché su di te stava spendendo dei soldi.
Giulia, dal canto suo, era una stronza.

Purtroppo o per fortuna non sono uno dalla risposta pronta. Un po' mi manca proprio e un po' evito perché poi quando la risposta mi esce non la so dosare e si va sempre a finire male. Sono affetto da quella che Gaiman chiama “sindrome dei 5 minuti dopo”. Quella che ti fa venire in mente la risposta perfetta sempre dopo che il fatto si sia concluso.
Per cui dovremo spostarci in un universo parallelo per osservare alcune scenette interessanti e i loro sviluppi. In questo particolare universo il mio omonimo lavora sempre per Eataly ma questa volta sa che tra una settimana lo licenzieranno, quindi non fa nessunissimo sforzo a tenersi dentro le rispostacce che gli salgono in gola. So che sembra un esercizio di masturbazione mentale ma la notte è lunga e io non ho nessunissima speranza di dormire.

Sono nel laboratorio sul retro, sto impacchettando e prezzando dei formaggi mai visti prima che qui considerano prodotti tipici sardi. Accanto a me c'è Giulia che mi da una mano. È di buon umore, uno di quei rari momenti in cui ride e scherza come se fosse una di noi. Quelli più esperti di me fanno i simpatici tenendo sempre lo scherzo al livello giusto per gratificare l'ego del capo. Io sto zitto perché se non hai niente da dire è bene non non dirlo.
Non seguo la conversazione finché Giulia non si gira verso di me e chiede
-Dimmi un po': ti piace lavorare qui?-
-E' una di quelle domande a trabocchetto? -
-Non si risponde ad una domanda con un altra domanda. - Piccata.
-Non si fanno domande di cui già hai deciso la risposta.-
Silenzio.
-Su forza è una cosa semplice: ti piace o non ti piace?-
-Si mi piace.- dico -Mi piace avere uno stipendio e mi piace guadagnarmelo ma sinceramente qui o altrove non è che fa questa gran differenza.
È ovvio che nel mondo reale, nella nostra dimensione, la mia risposta è stata “eeccerto! E come no!”

Stacco. Un sabato pomeriggio. Tutta Eataly va nel panico sabato pomeriggio perché gli stronzi benestanti che vengono a comprare il prosciutto a 40 euro a kg e le piadine a 10 euro vengono in massa. C'è un po' di casino nel reparto, la macchina per sigillare le vaschette ha appena finito il rotolo di plastica e va cambiato. Sfiga vuole che sia nei paraggi e vengo spedito a recuperare il rotolone incriminato.
Ora. Quando ero al Conad (e come ho già detto altrove eravamo scemi) tutto quello che ci serviva era nei mobili alle nostre spalle. In cassetti, armadi ecc ecc ma comunque bastava girarsi e aprire tutto fino a trovare l'aggeggio desiderato.
Qui è diverso, sul retro c'è una zona magazzino dove tutto il materiale di tutti i fottuti reparti del piano è sistemato su una massiccia scaffalatura di metallo. Tempo prima Daniele (credo si chiamasse così) mi aveva spiegato la disposizione
-Allora, lì ci sono i guanti grandi- indica -qui i piccoli- indica altrove. Si arrampica su degli scatoli -e qui trovi le vaschette- si sposta di un metro più in là -qua i rotoli per la macchina- scende e continua ad indicare uno dopo l'altro gli scatoloni tutti uguali.
-Scusa ma con che criterio sono disposti?-
-In base al codice con cui arrivano al magazzino centrale- dice lui guardandomi come se mi dovesse spiegare che il sole tramonta ogni sera.-
-Comunque tutto chiaro?- chiede.
-Veramente no, che cazzo di senso ha? Mettiamo tutta la roba nostra da una parte così almeno sappiamo dove sta. Così è una follia.-
Lui mi guarda. Non è difficile leggere i suoi pensieri, qualcosa come “nessuno mi paga per spiegare a questa scimmia come si lavora qui dentro”
-Bene quindi tutto chiaro. Torniamo a lavoro.-
si gira e va via.
Ma torniamo a quel sabato pomeriggio. Vengo spedito inmagazzino a recuperare il rotolo per la macchina. Davanti alla scaffalatura faccio l'unica cosa che mi viene in mente. Ovvero arrampicarmi e frugare a caso nelle scatole che mi sembrano della misura giusta. Ci mento una decina di minuti ma alla fine lo trovo. Mentre sto scendendo con la scatola del trofeo mezza aperta. Giulia entra nel magazzino. È palese che le è andato il tampax di traverso. Mi prende la scatola dalle mani prende il rotolo e lancia via il cartone con fare teatrale poi si allontana.
-Grazie, il tuo aiuto è sempre prezioso. Anzi, meno male che sei arrivata te che non avrei proprio saputo come fare per tirare fuori la roba dal cartone. Fa una cosa la prossima vota vieni prima e sbattiti un altro po' così sicuro la roba mi salta imbraccio prima. Stronza.- dico mentre lei si allontana.
Anche qui, nel mondo reale stai zitto e fai pippa per amor dei tuo 700 euro.

Stacco. Un pomeriggio di giovedì. Giornata smorta dove manca la materia prima di ogni esercizio commerciale: i clienti. Per qualche misterioso motivo Giulia è di buon umore, ride e scherza con noi nel laboratorio. L'argomento di discussione è le conquiste amorose. Anche io porto il mio contributo ma passo in secondo piano.
-..e poi c'era questo mio amico di Roma che mi stava sempre dietro, se non ero sposata...- dice Giulia prendendo fiato tra un aneddoto e l'altro.
-Wa, Giulia certo che hai fatto strage.- commenta Mario.
-Eeccerto! Con questo fisico che mi ritrovo gli uomini fanno la fila.- dice lei indicando con le mani la mercanzia.
Ora, giuro, nella scala dell'appetibilità sessuale Giulia rientra nella categoria “si ma solo se sono su un isola deserta e non ci sono altri orifizi disponibili”
quindi la mia risposta non poteva essere che:
-Uomini coraggiosi.-
Silenzio. Lei si gira, sta ridendo ma è quella risata tutta femminile che preannuncia orrore e morte.
-Stai dicendo che non ti piaccio?-
-No. Io, personalmente, ci tengo a rimanere in buoni rapporti col mio pesce e se dovessi mai infilarlo in una cosa come te temo che non mi parlerebbe più.-
Qui, in quest'universo alternativo, ci sarebbe stata la standing ovation. Di quelle che solo la nuda e cruda verità meritano.

Stacco. Martedì mattina, inizio il turno alle 10. trovo già tutti pimpanti e scattanti segno che Giulia ha già messo piede in negozio. Oggi è in vena di simpatia mi accoglie sulla soglia.
-Che ci fai qua?- sguardo duro.
-Ho il turno fino alle 14.- nella mia testa si fa largo la possibilità che ho sbagliato giorno ed oggi ero libero.
-No oggi vai giù in panetteria. Hanno chiamato dall'ufficio e ti hanno spostato lì.- sempre serissima.
-I vestiti e tutto me li danno lì o devo passare sopra?-
-ti danno tutto giù, vai.-
slaccio il grembiule mentre mi avvio verso il retro per ricambiarmi.
-Ok, ciao gente è stato un piacere. Ci si vede in giro.- gente che ride.
-Aspetta dove vai?- fa Giulia.
-In panetteria, me lo hai detto tu.-
-era uno scherzo ma ti pare che ti spostavamo così?-
-Per come trattate la gente qui dentro non mi avrebbe sorpreso.-
-Ma a te proprio non te ne frega niente dove stai eh?-
-No. Nulla.-

Ultimo giorno di lavoro. Il turno finisce alle 22. il mio contratto scade oggi. Sono le 21 e ancora nessuno mi è vento a dire niente né del rinnovo né degli eventuali turni della settimana prossima. Giulia esce dal laboratorio, si toglie il grembiule e si prepara ad andarsene. Io mollo la signora che stavo servendo al banco e la raggiungo.
-Giulia scusa ma io domani che devo fare?-
-In che senso?-
-Domani mi scade il contratto nessuno mi ha detto niente e non ci sono i turni di domani.- riassumo -devo scendere a lavorare o sono licenziato?-
-Ma l'agenzia non ti ha avvisato?- faccia triste e dispiaciuta.
-Se lo avesse fatto non ti avrei chiesto niente.-
-Mi dispiace dover essere io a dirtelo ma non ti hanno rinnovato il contratto.- la fisso un attimo memore dello scherzo della panetteria.
-E' uno scherzo?-
-Ti pare che possa scherzare su una cosa così?-
-Magari no ma intanto te ne stavi andando senza dirmi un cazzo.-
-Non è mica compito mio.-
-Giusto! Tu sei solo la caporeparto mica dici alla direzione chi resta e chi va. Una mattina scendi a faticare e scopri chi hanno licenziato i tizi dell'agenzia.- mi sto alterando leggermente.
-Comunque dai una mano a Peppe per la fine del turno e poi. Mi dispiace.- tende la mano per dare un saluto quando due minuti prma stava sgattaiolando via di corsa.
-TI DISPIACE 'STO CAZZO GRASSO E PELOSO. Sta stronza di merda! Che è ? non lo potevi dì prima perché ti pensavi che facevo i sabotaggi o che non mi sbattevo più appresso a te e alle tue stronzate.- predo fiato, mi giro e vado via. Si fottesse Peppe con tutti i filistei.

E qui è andata più o meno così. con qualche kitammuort in meno ma il senso era quello.

Wannabe verso Lucca


C'è un biliardino, un vecchio tavolaccio ingombro di carte di Magic, un poster di Guerre Stellari e un divano che non ha più l'onore di stare in un soggiorno vero. Su quel divano il “futuro del fumetto moderno” sta fissando perplesso il modulo di partecipazione a Lucca 2013.
-che metto “artista” o “editore”?- chiede Valerio.
-Direi artista perché sicuro editori non siamo.- rispondo io
Michele, il padrone di casa ci guarda come guarderebbe due scimmie alle prese con un reattore nucleare.
-Vabbè dai, tanto dopo lo puoi cambiare dopo.- dico. Al momento mi preme sapere quanto costa il banchetto, il resto è secondario.
Entriamo nell'area, leggiamo tutte le regole di Lucca che si riassumono con la frase “Voi ci pagate e poi i cazzi sono i vostri.”
qualche altro click e siamo alla scelta dei banchetti.
-Oddio! 1500 euro?-
-Scendi scendi. Vai direttamente in fondo alla pagina dove stanno le cose per i poveri.-
1000
750
500
Avanti tutta e poi finalmente 100.
-Eccolo è il nostro!-
-Mi pare un po' piccolo, siamo in 6- fa Valerio
-Mmm-
-Vediamo magari possiamo aggiungere un modulo.-
Si possiamo. Spesa totale 266 euro IVA compresa. Premiamo “ok” e procediamo. Si apre un altra schermata, stavolta ci chiede il nome con cui lo stand risulterà nella fiera. Ovvero il cartello che tutti i nostri 4 lettori leggeranno.
-Mummia Corporation fa abbastanza schifo.-
-Dai potremmo sottotitolare “il nuovo che avanza, lentamente.”-
-...-
-Si, fa schifo.- capitolo.

Piccola digressione. Come tutte le grandi tragedie anche questa di provare la via dell'autoproduzione è nata da una piccola cosa. Ero al corso di sceneggiatura con Lorenzo Bartoli, alla scuola comics. Come ospiti speciali erano venuti due ex alunni a parlare della loro autoproduzione. Sarà che loro facevano simpatia, sarà che sembrava un'ottima idea ci siamo messi anche noi a replicare la cosa. C'era solo un problema, di quelli piccoli piccoli: meno mezzi e meno preparazione alla cosa. Soprattutto sulla parte tecnica. Tipo: dove stampiamo, come lo stampiamo, e la carta? Ecc ecc.
in questa fase fin troppo confusa entrambi i ragazzi della Villain comics (la loro etichetta) ci sono venuti in aiuto con preziose informazioni.
-E se ci chiamassimo “Hero Comics"?- Valerio ha quella luce negli occhi di cui uno dovrebbe sempre aver paura.
-Eh già, magari prendiamo lo stand di fonte a quelli della Villain.- in lontananza sentiamo il buon senso franare mentre il “Piano del Secolo" va formandosi.
Riassumendo: loro si chiamano Villain comics (Villian vuol dire cattivo grosso modo), Roberto Recchioni gli ha dato una mano facendo da supervisore. Noi ci chiamiamo Hero Comics, possiamo chiedere a Bartoli se ci scrive due righe di introduzione agli albi, come se ci sponsorizzasse.
Bartoli e Recchioni hanno collaborato sulla loro serie John Doe. Ora che ha chiuso ognuno per la sua strada.
Due autoproduzioni sponsorizzate da due ex soci.
E internet è pieno di idioti.

-Ma non è che suona un po' antipatica come cosa?-
-No, non hai capito. Ci mettiamo d'accordo con i Villain per fare una finta contrapposizione, una cosa goliardica. Poi se gli scemi ci cascano e qualche idiota titola “il duo di John Doe si fa la guerra attraverso gli esordienti” tanto di guadagnato no?-
-Anche così sembra una cosa antipatica, a meno che non siano tutti d'accordo. E non credo-
-E poi “Hero comics” suona come una casa editrice anni ottanta di supereroi...-
-Ma voi siete sicuri che non esista già?- fa il padrone di casa che non sa nulla di fumetti.
-In effetti...-
Valerio cerca su Google. Si, esiste già. Come il nickname “Legolas” sul forum del Signore degli anelli.
Ci guardiamo in faccia.
-Era un idea del menga-
-Si, vabbuò era per ridere. L'avessimo fatto davvero ci venivano a pigliare con la mazza.-
Due gruppi di esordienti contrapposti: uno un gruppo di cazzari, l'altro gente seria e organizzata (e dopo questo post non dovreste fare fatica a capire chi è chi).
-però...-
-però...-
-Suona molto West side story dei fumettisti.-

Così è nato Wannabe. Prossimamente su tutti i rotoli di carta igienica ruvida.

Ps: alla fine ci chiameremo Faq Tales. Non mi chiedete perché e per come. O magari un giorno vedo di capielo e ve lo spiego

giovedì 11 aprile 2013

Death Race & Mortal Food Kombat (Budapest conclusione)


Quando ci svegliamo Sara è nervosa. Ci spiega la nottata. Siamo abbastanza sicuri che si sia sognata tutto ma qualcosa nel suo racconto ci fa ringraziare segretamente di non avere altre notti da passare in quella casa. Ad essere ottimisti poteva anche essere un'intossicazione da metano causata dalla stufa. Ma nel dubbio.
Chiudiamo le valigie e partiamo per l'ultima escursione: quartiere ebraico.
Come in tutte le vacanze il giorno in cui devi ripartire hai finalmente appreso i misteri del trasporto pubblico locale. Ci mettiamo poco. Facciamo i turisti seri alla sinagoga (pedinando una scolaresca italiana con guida).
Ma questa è solo cultura. Il nostro interesse maggiore emerge quando riusciamo a uscire e dirigerci verso il ristorante ebraico-ungherese che avevamo trovato chiuso sabato. La camminata è lunga perché ci si ritrova su un lato mai visto prima del quartiere ebraico e per quanto Sara e Aurora non ci stiano capendo nulla fanno finta di niente. A nulla valgono proposte mie e di Alessandro di chiedere a qualcuno. E nemmeno quando un tizio del banchetto dei bus turistici si avvicina e chiede in perfetto italiano “posso esservi d'aiuto?” loro mollano l'osso. Per la cronaca eravamo fermi davanti ad un incrocio e si fissava la cartina con aria smarrita domandandosi perché la via dove ci trovavamo si fosse improvvisamente spostata di 2 km più in là.
Alla fine le nostre eroine, testarde come il meteorite che ha sterminato i dinosauri, trovano la strada e quindi il ristorante.

La guida recita: “Un posto accogliente a conduzione familiare, se riuscite a non far caso alle tovaglie a quadroni rossi sarete conquistati dalla cucina e dalla simpatia del titolare. Un locale molto rustico andateci preparati”

quello che ci troviamo davanti è una stanza con vari tavoli in legno e tovaglione a quadroni. Poste e bicchieri che ricordano vagamente “Giggino o'Zuzzus” a Napoli e vari clienti indigeni che ci guardano come se gli avessimo ammazzato il figlio.
La cameriera conosce tre (3) parole di inglese: “hello”, “good” e “please” dopo un po' che noi fissiamo il menù in ungherese/tedesco arriva il titolare ad illustrarci il tutto. Lui sa almeno sei parole d'inglese ma con quello tanta gestualità e sorrisi generosi ci fa scegliere del cibo. Io intercetto la parola salsiccia e (dopo aver avuto conferma da Sara) la ordino.
Lui mi guarda -no, no... small no good- con le mani mima un piatto tipo sottobicchiere. Ci pensa un attimo mi prende il menù di mano guarda con aria critica e poi indica un altra cosa
-Good, good super!- tutto contento mentre con le mani simula la ruota di un tir.
Io che sarò anche fesso ma gli occhi li tengo noto che le due cose sul menù si chiamano in due modi diversi, costano diverso e una a sensibilmente più parola dell'altra.
-but not is the same.- ovvero, credo, “we bello ma è nata cos!”. Lui mi guarda un attimo perplesso sorride.
-Yes, yes, good! Super!- e smette di considerarmi rivolgendosi a Sara per sapere da bere che vogliamo.
-Beer? Vine?- chiede Sara. Alessandro capisce un attimo prima degli altri: è un ristorante ebraico integralista qui l'alcool è bandito. Lui guarda Sara sconvolto nota i tatuaggi che le serpeggiano dalla spalla al gomito e dice qualcosa nella sua lingua che suona molto come “non offendere i miei avi e la mia fede con i tuoi vizzi cane infedele!” ma più cortese come quando un italiano prende per il culo la gente in una terra straniera dove nessuno lo capisce.
Sara riesce a contrattare: la scelta è tra l'acqua che abbiamo al tavolo e un non specificato succo di frutta (tipo lamponi) che decidiamo tutti di evitare. L'uomo sparisce, passa mezzora in cui l'unica pausa è la cameriera che ci chiede se vogliamo del pane. Noi: si. Lei prende il cestino dal tavolo del tizio affianco e ce lo dà.
Arriva il cibo, nello specifico non ha quest'aspetto così invitante, il mio piatto ricorda molto una distesa di riso in bianco con quattro meteore di carne appallottolata zuppe di sugo. Mangiamo per paura di disonorare ancora i nostri “rapitori”. Al tavolo affianco arriva un giapponese solitario armato di iPhad. Il proprietario lo intrappola subito, lui prova a chiedere qualcosa ma l'altro sta già elencando le pietanze in ungherese mettendoci un bel “finisch” alla fine così che lui capisca che non c'è speranza. Gli dice l'unico piatto che è rimasto (il mio) e va via dicendo “super! Super! Wow, good!”
il giapponese non è stato abbastanza lesto e si berrà anche il succo di lamponi che noi abbiamo gentilmente declinato.
Finiamo, proviamo a rifiutare il dolce che ci viene portato lo stesso in porzioni small (ovvero mezza fetta a testa e hanno tutta l'aria di provenire da un altro tavolo). Mangiamo anche quello un “e mamma mia quanto è buono ed una fuga precipitosa dopo aver pagato un conto dove sono contati i bicchieri d'acqua e le fette di pane.
Torniamo a casa digeriamo chiamiamo il taxi e via verso l'aereoporto. Purtroppo dobbiamo avviarci 6 ore prima dell'imbarco perché la casa va liberata per i prossimi che arrivano. Io mi premuro di scrivere un biglietto d'avvertimento sulle presenze paranormali in casa. Questo ed altro per salvare delle vite.

All'aereoporto ci accampiamo nell'unica area bar che si possa trovare al di qua dei controlli. Fortuna vuole che incontriamo degli italiani che ci aiutano ad incastrare le valige nel loro piccolo accampamento.
Loro sono lì d 24 ore avendo perso l'aereo. Sara che è donna furba e ne capisce si poggia allo schienale e fa finta di dormire o dorme. Io sono protagonista di una spaventosa conversazione quando il mio cervello va in tilt a vedere uno sconosciuto che si rivolge nella mia lingua. Non capisco niente rispondo a casaccio. Un attimo prima che le guardie aeroportuali mi trascinino nel reparto psichiatrico i Aurora, subito dietro di me scoppia a ridere attirando la loro attenzione.
Il resto della permanenza lì sarà noioso come la morte per stenti.
Alessandro fa chiaramente capire che Aurora è la ragazza sua e non è sul mercato e se vogliono i tizi possono provare con il rottame che russa lì accanto (una Sara in condizioni pietose dopo la sua esperienza paranormale) ma cade vittima di un equivoco: uno dei tizi VUOLE LUI.
Le spiegazioni vanno avanti per un po', sono confuse come questo post e molti passaggi sono anche troppo azzardati ma il succo è: loro lavorano per una società che offre servizi su internet. Tu entri con una quota di 400 euro e loro ti danno da gestire un sito che (a quel che ho capito) ti fa vendere contratti online alla gente per gas luce e via dicendo. Tu ti prendi il guadagno della cosa ma passi una questua a quello che ti ha fatto entrare. Alessandro declina gentilmente l'offerta del grillino dell'economia.
Ci inbarchiamo, decollo arrivo a Roma. Qui è successo qualcosa: l'amica di Sara (che chiamerò Donata perché non mi ricordo) non riesce a trovare l'auto di Sara con cui deve venirci a prendere. Tarderà di una mezzora e alla fine arriverà con la sua splendida 500.
Siamo in 4 più Donata.
Abbiamo 4 valige piccole e un valigione.
Abbiamo una 500


per il resto il viaggio in auto da Fiumicino a casa di Sara prende circa 10 minuti. Lo stile di guida della nostra accompagnatrice si può definire in decine di modi ma credo che il più adatto sua QUESTO.

Immaginate una strada bagnata, aria fredda all'esterno, una tenue pioggerellina. Tre persone con le valige in braccio quasi senza vedere nulla. E poi un tratto di autostrada a 150 all'ora in una 500 senza manco vedere che succede.
A Gardaland farebbe furore come cosa.

martedì 9 aprile 2013

Un nuovo amico (Budapest 8)


Roma, casa di Sara. Per la precisione la cucina. Lei sta armeggiando con i fornelli mentre sul tavolo Sofia fissa i quaderni dei compiti con l'aria di chi sta pianificando un evasione. Il televisore (presente solo per esigenze narrative visto che nella cucina originale è assente) trasmette un telegiornale a caso che Sara utilizza come “musica d'appartamento” mentre cerca di affrontare i piatti sporchi e tutto il resto.
L'annunciatore parla di un colpo di stato “bianco” in Ungheria. Il piatto che Sara si era finalmente decisa a lavare le scappa di mano. La telecamera si stringe in un rallenty del piatto che si sfracella per poi passare al viso sconvolto di Sara. Sofia osserva la scena e coglie l'occasione per far sparire una delle due pagine di assegno. Sara afferra il telefono e contatta Aurora.
-Lo sapevo io! Hanno fatto un colpo di stato in Ungheria!-
-Cosa?- risponde una scettica Aurora dall'altro capo.
-Il colpo di stato! Il golpe! Leggi restrittive, stato di polizia. Aspettavano giusto a noi!- continua Sara concitata.
-Ma sei sicura? Non è che stai esagerando un po'- la frase corretta è “non è che ti sei addormentata con a tv accesa e hai sognato la terza guerra mondiale?”
-Si, Aurò sta al telegiornale! “golpe bianco”!- pausa -Uh mamma mia! C'abbiamo anche dietro l'ebreo!-
la conversazione procede per un po' cercando di far coincidere due realtà: da un lato la dittatura militare con i camion che deportano i dissidenti, dall'altra l'opposizione che grida al colpo di stato per ogni legge che vota la maggioranza (vedi gli ultimi anni di governo Berlusconi).
Si troverà un punto mediamo per poi accantonare la questione in un angolino impolverato.

19 Marzo, Budapest. Per la precisione un Kebabbaro vicino casa a cui è stato dato incarico di nutrirci dopo la faticosissima giornata al castello. Il piano era semplice: prendere del cibo, portarlo a casa e consumarlo. Ma il piano non aveva considerato una cosa. me.
Mentre Sara e Aurora stanno ancora decidendo quale “insalata” prendere io mi diirgo al banco prendo un kebab e con tutta la sicurezza di chi non ha capito un cazzo mi vado a sedere ad un tavolino azzannando il meritato pasto. Al che gli altri, dopo avermi abbondantemente redarguito, decidono di consumare l'etnico pasto insieme a me al tavolo.
Alle nostre spalle un tizio rubicondo, pelato e con un felpone arancione si interessa per un po' a noi. Ci fissa per un po' poi inizia a parlare con noi. La conversazione si tiene in un misto di inglese e italiano smangiucchiato con Sara girata a 3/4 per fare l'interprete e Aurora che segue cercado di afferrare i concetti intraducibili. Apprendiamo le seguenti cose:
-lui è un gipsy.
-Gli ungheresi sono gente fredda che se li guardi negli occhi fanno finta che non esisti e tirano dritto, non come gli italiani brava gente pizza mandolino e sole che subito ti danno corda.
-lui suona il violino, gli piace tantissimo il Gladiatore e ama l'Italia.
-il padrone del kebabbaro non vede di buon occhio questa conversazione e osserva il nostro nuovo amico con un'espressione che può significare solo qualcosa tipo “eccolo che ricomincia”
-Il presidente ungherese è uno stronzo, i poliziotti sono degli stronzi e un po' tutti sono corrotti e ce l'hanno coi gipsy.
-noi ci sentiamo un po' a casa.
-il proprietario fa gesti eloquenti verso il nostro amico facendo capire che la conversazione sulla politica non è cosa gradita e ha rotto il cazzo.
-cambiamo argomento. Il tizio pare anche una persona simpatica: suona in un locale, gli piace conoscere gente e via così. Tutto bene finché non ci spiega la sua personale interpretazione dei tempi moderni utilizzando come chiave di lettura l'apocalisse di Giovanni. Scendendo abbastanza nei dettagli.
-A questo punto noi decidiamo che è il caso di andare mentre il nostro amico ci spiega come Dio vegli su di lui e noi iniziamo a sospettare che voglia sacrificarci alla maggior gloria del suo clan agli occhi di Dio.
Usciamo, Sara mi fa tenere la reflex al collo perché mettersela lei vorrebbe dire fermarsi. L'amico ci saluta con calorose strette di mano informandoci che lui stasera suona in un locale
noi: “ahh bello! E dove che magari passiamo” [trad: non ci rivedrai mai più addio]
lui: “ecco qui mio contatto facebook, mia mail, mio cellulare. Voi mi chiamate e vango a prendervi in limosine con l mia ragazza e vi porto al locale [trad: chiamatevi che vi vengo a prendere e nel migliore dei casi vi porto a spasso per night e poi vi chiedo 500 euri di conto “animazione”].
Noi: “si ok ci sentiamo stasera! Ciao!” [trad: addio per sempre.
Scappiamo verso casa a passo svelto di chi ha la sgradevole sensazione che qualcuno ci stia seguendo. Evidentemente siamo paranoici ma capiteci, la tomba di Dracula è ancora nel cervello.


La sera andiamo in un altro pub in rovina: secondo la guida il secondo classificato per importanza. Il posto è stupendo, un centro sociale senza tutti quegli stramaledetti comunisti. Beviamo un po' facciamo qualche scenetta ridicola. Sara scambia dei pugliesi ubriachi per russi e poi torniamo a casa nella tranquillità facendo una leggera sosta da mc donald. Mancano meno di ventiquattro ore al rientro.
Ma in compenso conosciamo Helena Bonham Carter

Altrove
-Pagace! Pagace! Pagace la troia!- una limosine si avvicina al gruppo semi ubriaco. Lo sportello posteriore si apre rivelando belle gambe di una donnina con abiti succinti (e che deve sentire molto freddo a giudicare dai capezzoli). Il capo comitiva sorride e accetta l'invito della giovinetta infilandosi in auto con alcuni amici.
Quelli un po' più lucidi esitano un istante. Il finestrino del guidatore si apre l'omone in felpa arancione si sporge sorridendo, un sorriso da squalo, batte la mano sulla portiera
-Venite amici: fica, musica, tette grosse!- gli altri salgono.
La macchina sfreccia per Budapest, i ragazzi dentro sono troppo distratti dalla compagnia femminile per osservare il paesaggio ma non importa. I vetri scuri non gli farebbero comunque notare che stanno lasciando il centro verso la zona industriale e i capannoni abbandonati.

Gneeeek!
Sara apre gli occhi confusa. Forse ha sognato qualcosa ma la sensazione di pericolo imminente è ancora lì come se l'incubo fosse riuscito a seguirla fin lì. Si guarda intorno al chiarore della finestra che, ringraziando Dio, non ha una tapparella. Stefano dorme accanto a lei, non riesce a far a meno di pensare ad un cadavere così riverso a faccia in giù sotto le coperte. Sull'altro letto Aurora ed Alessandro sono uno addossato all'altra lasciando vuoti buoni 3/4 del matrimoniale . Alessandro ha smesso di russare lasciando nella casa il silenzio più assoluto.
Gneeek!
Sara ha un mezzo sobbalzo, se prima era ancora intontita ora è sveglia come se si fosse tuffata nel caffè bollente. Non si muove tendendo l'orecchio. Niente ma quel tipo di niente che promette assassini seriali e cose uscite da un racconto di Lovecraft dimenticandosi di essere solo frutto dell'immaginazione. Sara resta immobile ben decisa a non muoversi. Potrebbe andare a vedere ma anni di film horror le suggeriscono che è una pessima idea. Resta lì tendendo l'orecchio.
Questa volta lo scricchiolio non arriva.
La stufa a gas ai piedi del letto produce strani rumori. Sara non ne è sicura, probabilmente si sta impressionando, ma il suono della fiamma ricorda un basso mormorio. Qualcosa che cresce allontanandosi dalla stufa. Ora è in soggiorno, ora è vicino alla finestra. Poi scompare.
Gneeek! Gneeek! Criiik!
TUMP!
È il pavimento del soggiorno. Sara pensa per un attimo di svegliare tutti a cominciare dallo zotico con cui si è trovata costretta a dividere il letto. Allunga leggermente una mano poi si blocca davanti all'immagine mentale di uno Stefano morto che si ribalta nel letto. I rumori di la finiscono di butto. Sara si tira a sedere nel letto guardando con la coda dell'occhio il buio oltre la porta.
TUMP! Viene dal bagno.
Sara decide che a costo di farsela addosso non si muoverà da lì. Soprattutto adesso. Quasi sobbalza quando Alessandro riprende a russare come uno shuttle in fase di decollo. Quel suono che ha imparato a riconoscere come familiare in questi giorni la tranquillizza quel tanto che basta da farle passare la tachicardia. Di là arriva ancora qualche occasionale rumore. Sara resta immobile, con gli occhi aperti pregando per addormentarsi.
Mancano ancora molte ore all'alba.

sabato 6 aprile 2013

Scooby Doo Reloaded (Budapest 7)


Ungheria da qualche parte a Budapest anno 1551 circa.
L'ambiente non è dei più accoglienti: mattoni spogli, gallerie scavate e puzza persistente di muffa. I soldati del principe Mattia si tengono a debita distanza dal prigioniero. Le lance puntate davanti alla scarna ma imponente figura vestita di stracci. Dietro di loro il principe in persona con al suo fianco un prete che salmodia preghiere di abiurazione.
-... pertanto la nobilissima corte di Ungheria Vi condanna ad espiare i vostri peccati e le vostre atroci malvagità contro il regno, Dio e gli uomini...- Mattia interrompe con un gesto la declamazione del suo attendente. Fissa il prigioniero negli occhi e viene ricambiato dalla vista dell'oscurità della sua anima.
-Hai provato a rapire la mia promessa moglie, feccia. Ti sei intrufolato a corte credendoti un nobile, un protettore del popolo e invece sei solo un macellaio che si proclama sovrano di un regno miserabile come la Valacchia, marcirai qui. Per sempre.
-Se sono così miserabile come dici perché nessuno, né nobili né plebei, ha il coraggio di calare la scure sul mio collo giovane principe?- ribatte il prigioniero. Il sorriso di un lupo.
-non sei degno di una pubblica esecuzione. Morirai qui, di fame e di stenti.- ribatte il principe visibilmente a disagio -I tuoi crimini sono troppo mostruosi per far altrimenti.-
Mattia si allontana, i soldati lo seguono. I muratori si mettono all'opera per sigillare l'ingresso.
-tornerò.- dice il prigioniero -queste mura non possono trattenermi per molto.- il principe si ferma a metà strada, il prete riprende a salmodiare più forte.
-non temo gli spettri.-
-non sono loro che devi temere. Ma me: Vlad Drakul III sovrano di Valacchia. Uscirò di qui e avrò ciò che mi spetta. E l'ultima cosa che vedrai sarà la punta della mia spada. Così io giuro.

2013, Budapest. Ponte delle Catene. Sara sta facendo un servizio fotografico ai leoni a guardia del ponte. Io li guardo sospettoso. Sembrano aspettare solo il ritorno di Gozer il Gozeriano. Sara non ci bada minimamente presa com'è a cambiare i vari obbiettivi della reflex. Più in là Aurora sta facendo un servizio fotografico alla prima arcata del ponte. Alessandro è un po' più avanti che si sbraccia dichiarando la sua contrarietà a questo incedere da anziani giapponesi che fanno le foto ad ogni mattonella.
Oggi è la giornata campale, visita alla collina del castello. Un castello dove è passata metà della nobiltà d'Europa (Asburgo soprattutto). Distrutto e ricostruito circa sei volte da guerre e bombardamenti. È una cosa enorme che occupa tutta la collina, sembra la Reggia di Caserta ma con più pezzi medioevali e molti più Gargoyle. Ed è enorme. La guida ci spiega che nelle 4 ali del castello si possono trovare quattro musei (che noi bellamente ignoriamo) che c'è tutta una serie di cose da vedere e da fare.
Quindi andiamo alle bancarelle all'ingresso. Tra le altre cose consumiamo un altro snack tipico del luogo: sembra un bombolone alla crema ma senza crema in mezzo e con un impasto che sa di miele e altri gusti a piacere. Buono abbastanza da farci dimenticare il “pane raffermo” preso al parco municipale. E per la cronaca la tizia del chiosco parlava italiano meglio di me.

Una Sara contenta (o drogata di zuccheri)


Ci aggiriamo per mezza giornata per il castello nell'ultima tratta tallonati da una scolaresca urlante e da quello che sembra un viaggio di 5 di romani o fiorentini. Passa il tempo mentre giriamo intorno e si inizia a fare pensata di mangiare ma... Sara apre la guida e dice: “io volevo vedere le grotte sotto al castello”
ci mettiamo un'altra oretta e un giro completo della collina prima di trovare l'ingresso a quella che la guida promette essere una Budapest sotterranea. Sono quasi le 3 quando arriviamo davanti all'ingresso vagando apparentemente a caso su e giù per la collina.


Il fiero ingresso del Dungeon

una lunga scalinata ci porta all'ingresso dove la prima cosa che vediamo è un grassone che assale un panino in una sala vuota, ci guarda male. Sulla destra, dentro un gabbiotto di alluminio un ragazzo pallido e che vorrebbe essere da un'altra parte ci stacca i biglietti. A me ricorda qualcosa di un qualche film che ho visto. Uno di quei film in cui un gruppo di ragazzi viene ucciso e tagliato a pezzi. Un altro dettaglio conferma la teoria a me e agli altri.
Siamo gli unici turisti.
Le grotte che i proprietari hanno battezzato Labirintus consistono in un tunnel circolare con qua e là delle ramificazioni. Nessuno ci accompagna. Iniziano a formarsi immagini di una decina di film dell'orrore, ma per ora è tutto inconscio.
La visita si fa un po' inquietante man mano che avanziamo. Gli stronzi che hanno messo su queste gallerie hanno ben pensato di piazzare in punti strategici luci che proiettano coni d'ombra in stretti passaggi, a rendere tutto ancora più inquietante un vociare basso rimbomba qua e là nel corridoi. Giriamo qualche angolo e ci ritroviamo in uno slargo dove un gruppo di manichini vestiti da nobili dell'800 stanno in posa come ad un ricevimento. La voce registrata di una guida in ungherese esce da un altoparlante rimbalzando poi in tutto il corridoio ed oltre le curve.
Ci addentriamo, passiamo una serie di porte di legno scuro e massiccio chiuse da catenacci arrugginiti alla destra di un corridoio.
Passiamo attraverso degli archi con ai lati le ante di un cancelletto in ferro battuto che ha tuta l'aria di volersi chiudere da solo all'improvviso. Abbiamo visto tutti abbastanza film dell'orrore da farci un idea di cosa potrebbe succedere. In seguito si dirà che la colpa è di Sara che si è impressionata e ha fatto fare i “film in testa” a tutti ma la verità è che nessuno lì sotto si sentiva troppo tranquillo, anche solo per la possibilità di non riuscire a trovare l'uscita.
Ma il colpo di grazia al nostro già tenue coraggio era proprio dietro l'angolo: in alcuni corridio laterali iniziano ad apparire delle tombe: dei pezzi di pietra modellati a forma di tauto (cassa da morto) dall'aspetto tutt'altro che rassicurante. Una mappa sul muro ci indica che c'è un passaggio più lungo che si ramifica. Ci addentriamo. Il soffitto si fa più basso Aurora quasi sfiora con la testa. È tutto umido e c'è del fumo nebbioso in giro (probabilmente un'altra delle trovate degli stronzi dei proprietari).
Io non posso fare a meno di pensare che siamo il gruppo perfetto per un teen movie horror. Abbiamo la tipa bona che la sa lunga e fa la spavalda, il nerd rincoglionito che fa i momenti di alleggerimento, il quarterback un po' tonto ma simpatico e quella che vuole dare un occhiata tanto mica succede niente.
Giriamo l'angolo è umido e fa un po' caldo, c'è un po' di paccottiglia il giro sistemata a mo di museo, più avanti un buco nella roccia ed un altro tauto di pietra da solo in una stanza quasi buia. E un cartello sul muro.


Questo cartello

Sara inizia a leggere tutta la storia. Ora a ripensarci suona più come inventata dai proprietari ma lì sotto sembrava verissima: pare che all'epoca Dracula sia stato qui. Secondo la storia lui e il principe Mattia (erede al trono) si contendevano l'amore della stessa donna (che non mi ricordo come si chiama). Lei tra il principe erede d'Ungheria e un pazzo sanguinario pare scelga il principe ma viene rapita da Dracula. Mattia (che è praticamente un eroe nazionale) recupera la sua bella e sbatte Dracula nei sotterranei del castello e ce o lascia tipo per dieci anni. Poi lui scappa fa quello che deve fare e “muore”
e qualche simpaticone lo seppellisce nel grosso tauto un po' più avanti.
Per farla breve noi italiani emancipati e istruiti ci caghiamo addosso. Ognuno fa finta che il fatto non è il suo: Sara dice qualcosa tipo “meno male che ho mangiato la zuppa d'aglio”; Aurora fa quella coraggiosa che va avanti per prima per poi lamentarsi che abbiamo mandato avanti lei, io ed Ale facciamo battute nervose.
Adesso, alle soglie della primavera nelle nostre case col sole che splende dalla finestra siamo bravi tutti a dire “eh ma io facevo finta mica mi so messo/a paura davvero”. Fatto sta che la “tomba di Dracula” l'abbiamo intravista sporgendoci dalla soglia senza entrare e poi abbiamo tirato diritti fino all'uscita.
Ci siamo persi, siamo entrati in una scura sala proiezione dove andava in loop un filmato da quanto è bello il castello di Budapest, siamo stati un po' e poi abbiamo telato. Verso l'uscita ci siamo quasi convinti che ci avessero chiuso dentro e poi via, verso la luce.

A pensarci adesso quello che succederà durante la notte non può essere una coincidenza.

giovedì 4 aprile 2013

Di bubbole metafisiche e concetti primordiali (Budapest 6)


Alcuni fisici, di quelli che vanno a fare gli esperti a Voyager, teorizzano che l'impatto psitico di un evento rimbomba nello spazio tempo influenzando i noi stessi di altre epoche con sensazioni che arrivano dal passato e dal futuro. Tanto per fare un esempio chiarificatore: la potenza gravitazionale della mangiata fatta quel pomeriggio del 18 Marzo a Budapest è stata tale da concentrarsi in effetto di “pennica post pranzo supermassiccio” tale da influenzare e far vibrare l'intera linea temporale. L'effetto si è propagato attraverso lo spazio tempo fino ad influenzare la mia mente nel qui e adesso facendomi completamente dimenticare il resto della giornata.
Per lo stesso motivo negli ultimi giorni tutti e quattro siamo stato colpii da brividi di freddo e Sara direttamente dall'influenza. Questi eventi non sono normali sono qualcosa di più ce lo spiega Hans Heterbroucher esperto di fisica e noto ubriacone della Minesota university radiato dall'albo: quando uno pensa di avere freddo o si ammala si pensa sempre che la cosa sia dovuta alle condizioni meterologiche in cui il soggetto vive. Invece è molto più probabile, secondo la mia teoria, che in un qualche punto della linea temporale il soggetto sia stato in contatto con un evento di freddo talmente intenso da trasmettersi lungo lo spazio tempo per colpirci in epoche successive. Un tale tipo di freddo è anche conosciuto come proto-freddo o il più comune e popolare “io non esco di qui manco se mi ammazzate”. So che può sembrare una teoria bislacca ma è tutto vero ed anche molto semplice come dimostra l'equazione che ho scritto su questo fazzoletto usato. Tanto voi non siete esperti di fisica e quindi mica potete verificare. Bene ora che abbiamo chiamato in causa l'esperto per spiegare come la mia non sia stata una semplice dimenticanza ma un qualcosa di molto più logico e sensato torniamo a quel fatidico pomeriggio di Marzo.

la ragazza sulla sinistra è probabilmente morta per ipotermia subito dopo la foto

Per il resto del pomeriggio passiamo il tempo a combattere la selvaggia battaglia con la digestione. È una lotta dura e selvaggia che ci rivedrà in condizioni coscienti verso le 19-20. una volta ripresi decidiamo che qualcosa va pur fatto perché non sia mai detto che noi stiamo a casa. Un consulto veloce e si decide per le terme. Terme all'aperto.
I bagni Qualcosasky sono in un palazzone monumentale nel mezzo del parco municipale. Paghiamo andiamo negli spogliatoi e dopo una decina di minuti a vagare per scale, scalette corridoi che odorano di cloro e uomini nudi io ed Alessnadro riusciamo a cambiarci e risalire su verso le vasche. Aurora e Sara sono negli spogliatoi dell'altra ala e non abbiamo notizie.
Fuori pioviggina e fa un freddo becero e marrano gli indigeni non sembrano accorgersene nonstante le avverse condizioni meteo e il calare della sera chiacchierano amabilmente ai bar davanti alle vasche fradici ed in costume. Io ed Ale non la viviamo bene. Una volta usciti buttiamo le asciugamani in un posto che speriamo le tenga asciutte e ci buttiamo in acqua assorbendo il tepore della vasca a 40°. poco dopo arrivano Sara e Aurora. Loro, pensando che non ci sia posto asciutto per le asciugamani escono stoiche in costume davanti al gelo. Non battono ciglio ma io da testimone oculare posso dirvi che la loro pelle d'oca aveva la pelle d'oca a sua volta
mentre uomini giocano a scacchi su un galleggiante e coppiette si appartano nel vapore noi esploriamo. Sara si sposta qua e là seguendo i getti acqua bollente che sparsi in giro si chiacchiera e si cazzeggia finché non si decide di passare nell'altra vasca. Ci sono buoni 50 metri di distanza, cinquanta metri fuori dall'acqua. Io e Sara partiamo spediti all'inizio non è tragica ma circa aetà percorso il calore assorbito si disperde lasciando il posto al freddo. Il proto-freddo, l'ide astessa del freddo che ha usato Dio per tutte le derivazioni della cosa. Non è freddo è qualcosa i più. Per citare Pratchett il freddo è solo il nome che diamo all'assenza di calore questo è qualcosa di diverso. È l'opposto del calore. Quando nei film i moribondi dicono “ho tanto freddo” si riferiscono a questo.
Aurora ed Alessandro partono dopo e si credono più furbi di noi: accanto al percorso che conduce alla seconda vasca c'è una terza vasca rettangolare dove stanno placidi alcuni indigeni. Quando anche i nostri compagni di viaggio fanno la conoscenza col Freddo decidono di buttarsi in quella vasca convinti che sia almeno tiepida.
Sbagliato.
La vasca rettangolare è una piscina d'acqua gelata. Alessandro pronuncia l'Imprecazione Definitiva mentre tutti e due schizzano fuori e corrono verso di noi e verso il tepore della vasca termale. Qui troviamo nuove attrazioni: dei getti di idromassaggio su cui puoi “sederti” e delle comode panche circolari immerse nell'acqua dove poi rilassarti.
Lo scopriamo per caso. Ad intervalli di circa mezz'ora i geti di idromassaggio si spengono e si aprono altri getti che formano una corrente circolare sulle poltrone sommerse trasformando la nostra area relax in un frullatore. Dopo vari esperimenti diamo il via ai giochi da acquapark: basta distendersi in acqua e mantenersi vicino alle pareti per trasformarsi in missili roteanti. In poco tempo oltre a noi quattro si aggiungono inglesi ed ungheresi in un turbinio di impatti fortuiti e non. Poi la corrente finisce.
Passiamo il resto della serata in giro per le vasche. Anche se piove più o meno forte in acqua si sta da dio e il tempo vola in fretta. Alle 21 Aurora e Sara vanno agli spogliatoi in preparazione del rientro. Alle 22 chiudono le terme e loro devono asciugarsi le chiome e tutte quelle altre cose che fanno aspettare gli uomini sotto i portoni di tutto il mondo.
Una mezzora dopo un figuro armato di retino pulisci piscina si inizia ad aggirare per le vasche guarda male chi si attarda e fa gesti eloquenti a chi, come noi, non sembrano avere nessuna intenzione di uscire. Alessandro è irremovibile: fa freddo e lui non uscirà dalla vasca a costo di morire. Contrattiamo per un po'. Il figuro passa di nuovo e ci fissa valutando se trasformarci in gulash. Il piano è semplice: al tre fuori dall'acqua poi ognuno per se fino alle asciugamani (dieci metri più in là) e fino all'ingresso degli spogliatoi. Notare che mentre la porta dell'ingresso femminile è proprio di fronte alla vasca quello maschile è sull'altro lato.
-1, 2.. e 3! Via! Via! Via!-
esco dall'acqua trovo le cibatte raggiungo l'asciugamano e proprio mentre realizzo che è bagnato di pioggia sento alle mie spalle, molto più lontano del previsto.
-Ste!- Alessandro è uscito dalla vasca fino all'ombelico quando il Freddo lo prende. Il suo fisico privo della protezione adiposa necessaria cede e lui torna in acqua.
-cazzo fai?-
-portami l'asciugamano.-
-e sei proprio na merda! Mi hai fatto venire fino a qua.-
-fa troppo freddo non ce la faccio.- si sta per raggomitolare in posizione fetale dal freddo.
-alza il culo e muoviti!-
intorno a noi il nemico sta lanciando la sua offensiva. Pallottole fischiano ovunque, i soldati nemici avanzano col favore del fumo delle esplosioni. Guardo il mio compagno ferito immerso in una pozza di sangue e fango. Tende il braccio verso di me
-Và non pensare a me...coff-
-non dire idiozie Johnny! Non ti lascio qui!-
-è inutile che moriamo entrambi...coff coff...salvati almeno tu... di ad Aurora che l'amo-
da fuori campo parte una musica esaltante. Alessandro/Johnny si accascia lentamente nell'acqua. Io seguo il credo dei marines “nessuno deve rimanere indietro” e a discutere ancora congeleremo entrambi. Afferro l'asciugamano di Ale e torno indietro incurante delle pallottole e del nemico. Ale esce dall'acqua gli butto l'asciugamano e insieme, testa bassa, corriamo verso la salvezza.
Mi sono meritato una medaglia.
All'ingresso dell'edificio io ed Ale bestemmiano e tremiamo dal freddo. Una coppia di ungheresi fradici e in costume entra poco dopo. Ci guardano con aria di sufficienza sorridono e passano oltre.
Nell'atrio davanti all'uscita Sara ed Aurora aspettano da buoni venti minuti quando finalmente appariamo.
-Che fine avete fatto?- fa Sara.
-c'erano gialli ovunque.- dice Alessandro in chiaro shock postraumatico.

Torniamo a casa. Dopo una salutare serata alle terme le ragazze decidono di mangiare un po' di torta e andare a dormire. Io ed Ale sentiamo il bisogno di qualcosa di più. Le lasciamo alla piazza davanti casa mentre andiamo a celebrare il cameratismo da Burger King
sullo sfondo sventola la bandiera americana. Partono i titoli di coda.

Di cibo et de Italianum in estranee terre (budapest 5)


lunedì 18 Marzo.
Le cose si fanno sempre con una discreta calma dopo San Patrizio. Nessuno di noi ne fa un dramma visto e considerato che la tradizione ungherese pone nel lunedì il giorno del riposo del guerriero e di qualunque cosa possa interessare ad un turista armato di magica scatola cattura immagini. I musei sono chiusi, gli edifici storici sono chiusi, le terme(!) sono chiuse. La città di Budapest si trasforma metaforicamente in uno studente che ha deciso di fare sega a scuola e non ha nessuna intenzione di alzarsi.
Anche noi ce la prendiamo con una discreta calma optando per una visita all'isola Margherita, che credo si chiami così dal nome di una regina. Di che si tratta di preciso? Di un isolotto in mezzo al Danubio coperto di verde (e scopriremo in seguito di poco altro). Oramai siamo padroni dei mezzi pubblici della città e arriviamo con sulle rive del Danubio con sufficiente facilità per poi attraversare il Ponte di Margherita sotto il clima che si fa via via più ingeneroso: prima pioggerella, poi nevischio poi anche un po' di vento.
Sara e la sua reflex si dedicano nella produzione di una serie di foto in stile cartolina. Non è una cosa semplice come chiunque possa pensare. Niente del genere punta-guarda-e-scatta così comune tra le nuove generazioni di fotografi. Eh no! Sara è professionale, ogni foto richiede il suo componete che si un obiettivo, una luce o un Aurora in posa da qualche parte. Va da se che ogni foto richiede svariati minuti per essere portata a termine tra le manovre di assemblaggio e preparazione. Non stiamo poi a parlare del blocco del traffico conseguente. Con un attento studio siamo anche giunti alla conclusione che nel momento in cui Sara punta la sua fida reflex un qualche tipo di mezzo pesante passerà davanti all'obiettivo. Sempre. Nei musei eravamo sempre costretti a scansarci.
Mentre io e Sara eravamo intenti nelle operazioni di di assemblaggio Aurora cercava di convincere Alessandro che “si, non è una tua impressione: questo fiume è più grande del Tevere”. C'è voluto un po' ma alla fine la ragione ha prevalso sul campanilismo.
Alla fine un po' il tempo un po' l'ora un po' il fatto che sull'isola con una giornata simile non c'è nulla se non i serial killer si decide di andare a mangiare seguendo i suggerimenti della Guida. Qui vicino c'è un ristorante con menù fisso a 800 fiorini (2 euro). Ci fiondiamo lì, ovviamente prendendo la Via Lunga. Quella che passa per la strada sbagliata.
Arriviamo alle 15, ci sediamo, fuori inizia a diluviare. La cameriera ci informa che il menù è finito e ci fissa con l'aria di chi vuol sapere cosa vogliamo e vuole saperlo ORA.
Ordiniamo delle patate fritte e varie zuppe e zuppine che stanno sempre bene e guadagniamo un po' di tempo. Com'è ovvio dal menù non è dato sapere in cosa consistano i piatti, le uniche due guide sono le traduzioni “ a sentimento” di Sara e i prezzi. Visto e considerato che siamo gente a cui non solo piace mangiare ma anche sperimentare il cibo indigeno quando la cameriera ritorna si ordina un po' di tutto in ordine sparso con una serie di accordi del tipo “tu prendi e gli altri assaggiano”. La cameriera ci guarda sconvolta, un paio di volte fa per andarsene ma viene fermata per completare le ordinazioni. Ci guarda come se fossimo pazzi.
Quando arrivano i piatti capiamo che ha ragione. Gli ungheresi hanno evidentemente una diversa tradizione culinaria. La differenza fondamentale sta tutta nelle dimensioni delle porzioni: ogni piatto, anche quelli che sul menù sembravano stuzzichini, è in realtà un pranzo a sé. Emblematico è il caso del “formaggio tipico impanato e condito” che noi credevamo essere una specie di sofficino esotico che si rivela invece essere una mattonella di formaggio fritto alta due dita. Il pranzo va avanti come una battaglia campale. Fuori piove, la cameriera ogni tanto passa e ci guarda come a dire “io ho provato ad avvisarvi”.
Usciamo dal ristorante verso le 17 con le panze in mano e un irrefrenabile desiderio di buttarci su un letto. Facciamo tappa in un negozio di dolci tipici e non dall'aria invitante, Sara e Aurora hanno un piano in mente: quei dolci possono diventare la nostra cena “leggera” o una colazione dei campioni.

A casa il tempo passa. Il fatto che io non ricordi assolutamente cosa sia successo dopo mi fa dedurre che non ci sono altri eventi degni di nota per la giornata. Si, avremmo voluto fre un giro sul fighissimo bus anfibio che prima ti porta a spasso per la città e poi si butta nel Danubio diventando battello ma dopo un attenta analisi dei costi (35 euri) decidiamo che non è poi così figo da sacrificare quasi tre pasti.