Tomas Mendosa è fermo in mezzo alla
stanza. Il fissa gli occhi sul pavimento a scacchi cercando di non
pensare al resto della mobila che muta in continuazione come mercurio
portato all'ebollizione. Non vuole pensarci, forse è impazzito,
forse sta succedendo qualcosa di più grande di lui. Non lo vuole
sapere. Della lunghissima serie di bisogni presente in ogni essere
umano non resta nulla se non l'istinto di uscire da lì il prima
possibile.
Tutto sta nel capire dove sia “lì”.
Ha smesso di guardare le finestre da
quando il paesaggio ha iniziato a cambiare: prima New York, poi una
città futuristica, poi una landa desolata piena di morti viventi.
L'edificio in cui si trova ha almeno mantenuto un minimo di coerenza:
da penitenziario è passato prima a riformatorio, poi ad albergo.
Pochi secondi fa era una qualche struttura militare ma ora già ha
preso l'aspetto di una caserma. Nella testa di Tomas ronza un solo
pensiero: lui è il capo di questo posto atroce, lui è il
responsabile e se la struttura (e il mondo) la smettessero di mutare
magari potrebbe anche fare qualsiasi cosa sia richiesta dal suo
ruolo. In questo mondo mutevole le uniche certezze di Tomas stanno
nella sua testa, ma non sono incoraggianti: sa di essere un pezzo di
merda, sa (non chiedetegli come) che in qualche momento del prossimo
futuro farà del male a dei bambini, sa che farà una fine orribile e
che avrà meno di dieci minuti di gloria. Nulla di incoraggiante ma a
sentire gli esperti gli umani sono produttori naturali di false
speranze.
Visto che sta cambiando tutto magari
potrebbe cambiare anche lui? Magari anche il suo futuro? Potrebbe
cavarsela? Di sicuro no se resta impalato nel corridoio a contare le
mattonelle. La fortuna alle volte bisogna aiutarla.
Il corridoio non cambia mai forma, a
volte cambiano gli intonachi e i mobili ma punta sempre verso un
unica porta. Magari è lì che deve andare a prescindere dal suo
istinto che gli sta consigliando di farla finita lì e impazzire una
volta per tutte.
Tomas muove i primi passi e la
struttura si stabilizza, riformatorio pare, brutto segno. La porta è
sempre lì, da vicino riesce a leggere il suo nome sulla targhetta.
Mano sulla maniglia, un bel respiro e …
Napoli, fuori piove, fa un freddo che
non ha rispetto dei soldi spesi in riscaldamento. Gente che si aggira
per casa si ferma in un punto, parla e poi va via senza essere
interessata alla risposta. Davanti al portatile perdo il filo di
quello che stavo scrivendo, una, due,tre volte. Rileggo l'ultima
battuta.
Oddio, l'ho scritta io sta merda?
Cancello la pagina. Penso qualche
secondo e ricomincio.
Dall'altra stanza qualcuno mi chiama,
mollo tutto. Vado a vedere. No, no niente.
Riguardo la pagina per riprendere il
filo, un paio di dialoghi e un nome tornano a essere pixel bianchi.
Sto per scrivere, alzi le mani
A TAVOLA!
Poi tutta una serie di urli di
risposta. Chi cerca tempo, chi protesta, chi non ha sentito.
Mollo tutto, finisco dopo. Qualunque
cosa doveva fare Tomas in questa storia è dimenticata nei meandri
del casino che fermenta in casa.
Poi uno dice perché scrivo di notte.
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