mercoledì 30 gennaio 2013

Stanza Generazionale



I Carlos si guardano tra loro dubbiosi poi tornano a guardare il frigo. Dicono qualcosa , si guardano di nuovo e poi guardano me con aria interrogativa. Riusciamo a comunicare quel tanto che basta da capire che si stanno interrogando si chi sia il proprietario di quella marea di verdure e cibi sani che hanno invaso il frigo.
Io scuoto la testa e indico le due lattine di birra, il pacco di wustel e il baratto di pesto pronto. Loro annuiscono all'unisono con approvazione. Poi Carlos 2 sembra essere illuminato da un pensiero. L'amico lo fissa speranzoso mentre lui fa le prove tecniche di pronuncia.
-Chiara?- dice in tono stentato indicando la stanza accanto alla mia (quella che fu di Francesca, poi di Daniela ora di Chiara).
-No è andata via, ora c'è..- mi giro verso uno dei Carlos in cerca di un suggerimento che non arriverà -Come cazzo si chiama?-

Facciamo un balzo indietro. Una sera di qualche settimana fa. Nel soggiorno c'è un casino di pazzi per tutta la sera ho avuto il dubbio che ci fosse un Rave o che finalmente i Carlos avessero rotto gli indugi e deciso di conquistare la casa con un invasione Erasmus.
Quando esco per cucinare sono solo il tre: Chiara chiacchiera con un altra tipa mentre un troglodita dall'aria simpatica fa battute pessime e poi ride da solo.
-Ciao gente.- tono standard di chi ha solo fretta di cucinarsi
-Ciao Stefano, questa è [nome che non ascolto realmente mentre valuto la scollatura]-
-Piacere [tizia qualunque]- stringo la mano
-Visto che tra un po' io vado via lascio la stanza a lei.- fa Chiara.
-benvenuta allora- intanto mi giro verso il troglodita -piacere Stefano.-
lui mi guarda, guarda la mano poi mi sorride.
-no, no si trasferisce solo lei qui.-
-Vabbè posso salutarti lo stesso anche se non saremo coinquilini?-
il troll esamina la richiesta poi ricambia il saluto.
-Sei il fidanzato di [tizia]?- chiedo in tono innocente.
-Si.- fa lui usando il linguaggio del corpo per far capire che è roba sua.
-Allora abbiamo fatto bene a presentarci. Mi sa che ci vedremo spesso.

Non ho potuto realmente godere del periodo in cui Tizia si è stabilita in casa, ero a Napoli. Quando sono tornato ho scoperto un po' di cose. Sicuramente Cuoricino (nuovo nome affibbiatole stamattina) è meglio dei Carlos. È una persona allegra, parla italiano e credo sia alla prima esperienza fuori casa calcolando che non rompe il cazzo e si premura di non essere bersaglio di critiche.
Certe volte sembra che ti aspetti dietro la porta con un sorriso a 58 denti e un “buongiorno” o un “ciao” carico di tutto il buon umore che è capace di produrre. Pare che Cuoricino studi qualcosa che ha a che fare con la biologia (il che spiega la natura del suo rapporto col fidanzato).
Come tutti i pulcini bagnati di questo mondo crudo e malvagio è costantemente visitata dal Troll (versione breve di Troglodita). Cenano, producono una pila di piatti per due insalate ed un risotto e poi vanno via insieme. Dopo un oretta torna solo lei che fa i piatti sospirando piena d'amore e osservando un imprecisato punto davanti ai suoi occhi.

I Carlos sembrano essere diventati padroni di questo procedimento. Hanno imparato a memoria le tempistiche. Il loro piano è semplice: appena Cuoricino esce dalla porta Carlos 1 si precipita in cucina, prende una padella e ci da di “cucina” per una buona mezzora. Quando le pietanze sono pronte porta tutto nella loro camera. Pentole e tegamini vengono infilati senza troppi complimenti nella pila di Cuoricino.

Ho assistito a questo fenomeno due volte fin ora. Entrambe le volte Cuoricino sembra non riconoscere le pentole estranee e lava anche quella nel suo rituale d'amore.
Anche se prima o poi credo ci sarà una rappresaglia.

martedì 29 gennaio 2013

Un pensiero ricorrente


Devo fumare, in qualche modo, da qualche parte ma devo. Le cellule del mio corpo me lo chiedono ed io sto diventando scemo. O già lo ero.
No, non sono in astinenza da giorni, anzi ad esser buoni l'astinenza dura da circa dieci ore e sette sono di sonno quindi non contano. Credo che al momento la cosa più snervante è il pensiero che l'ultima sigaretta sia andata e di regola ora non ne fumerò MAI più.
Vabbè devi farti tre ore di treno, una che male fa?
Era una cosa da fare, non ci sono i soldi e onestamente mi sto pure iniziando a preoccupare di quanto corto ho il fiato recentemente. In teoria quando sei senza uno stipendio non hai diritto a spendere soldi in Wiston.
Capisco la vostra domanda: “si va bene Stefano ma perché ce lo vieni a dire a noi?”

E' un trucco: più altra gente lo sa più possibilità ci sono che non sgarri. Inoltre non aggiornavo da una vita e non sapendo che scrivere ho deciso per questo annuncio di salutismo. Sto notando che un sacco di gente si sta dirigendo in massa verso la sigaretta elettrica: è bella, ha le cartucce, fumi dove ti pare ecc ecc. per me invece ha due lati negativissimi: puoi fumare ovunque ed ha la sua bella carica di nicotina il che per me implicherebbe di triplicare le quantità assunte.
In secondo luogo con quella specie di coso fantascientifico in bocca mi sentirei un demente.

Per cui taglio netto, via, bon e chi se ne frega. Niente sigarette. Ho già trovato una soluzione alternativa: quando sto per cedere mi butto in bocca una manciata di citrato e la tengo lì. Garantito dopo ti frizza talmente la bocca che ti passa la voglia di fumare per un po'.
Evviva! Dai una bella sigaretta per festeggiare l'idea!

Questo post ha anche altri tipi di utilità: da oggi sappiate che il mio cervello avrà un lento declino psitico. La mia pazienza si assottiglierà, diventerò irritabile come un secchio di nitroglicerina abbandonato al sole e potrei rendermi partecipe di svariati omicidi.
Dai che un assassino che non fuma non è credibile. Una sola poi riprendi con la penitenza.

Voi pubblico a casa potrete seguire in diretta la degenerazione fisica e mentale della mia persona. Tutti i tic e le “faccette” represse in anni da fumatore dovrebbero fare capolino man mano che l'astinenza prosegue.
Purtroppo i pareri sono discordanti: c'è chi dice che la dipendenza da nicotina passi dopo una settimana chi dopo un mese chi dopo anni. C'è chi teorizza di dipendenze psicologiche e fisiche. Io non ci ho capito un cazzo per cui seguo la regola standard: non fumare e prega che passi in fretta.

Ultima nota: è un dato di fatto che smettendo di fumare aumenti l'appetito e il conseguente giro vita quindi non sorprendetevi se divento un barilotto di ciccia.

Ed ora una bella sigaretta per sancire questo annuncio e gioire insieme in questo storico momento.

mercoledì 23 gennaio 2013

Storie brevi (1)

Stavo scavando nel portatile in cerca del file che avevo iniziato ieri sera e di cui ora si sono perse le tracce. scavando scavando mi sono ritrovato in mano con questa vecchia storia breve. Sono 4 tavole originariamente dedicate ad un concorso con tema la malattia mentale. Se si esclude Pallottole Vaganti e un altro paio di mini storie potrei dire che è uno dei primi lavori messo su dall'inizio alla fine.

A rileggerla ora francamente un po' mi imbarazzo, credo ci sia l'errore più comune che si possa fare: dare per scontato che il lettore sappia di cosa stai parlando. Il finale è monco e alcune vignette le avrei dovute gestire un po' meglio. La storia fa atmosfera, o almeno credo ma sarebbe di molto migliorabile.
Poi come mi diceva Aurora manca l'Effetto Bambi (che si è poi rivelato fondamentale ai fini del concorso.
Tutto un altro discorso per i disegni di Alessandro Giordano della comix di Napoli: ottimi i disegni e lui. Una delle collaborazioni migliori che mi siano capitate (considerando poi che si è lavorato solo via chat)

Ma ora basta svilire la storia. Lo potrete fare direttamente voi comodamente seduti a casa:

Ciop Production presents

CONVERSAZIONI DA POKER
SOGGETTO E SCENEGGIATURA: STEFANO FICCA (me medesimo)
MATITE CHINE E QUANT'ALTRO: ALESSANDRO GIORDANO

Buona lettura

FINE

martedì 22 gennaio 2013

La caduta di Engarko


Le grida di battaglia possono essere udite fino alla fine del mondo, dalle stelle gli dei osservano il bagliore rossastro che si diffonde nel cielo: Engarko, la più grande delle città del mondo brucia. I cittadini sono passati a fil di spada mentre i pochi soldati rimasti si danno battaglia nei vicoli della città bassa.
Il castello è caduto, le mura sono in rovina. Tra le fiamme che avvolgono il porto si intravedono i vascelli dei barbari: oro, schiavi e donne sono trascinati in lacrime nelle stive. La città paga il prezzo di sangue promesso.

In alto sulla collina la regina guerriera, la madre della guerra osserva la scena. La pelle di Ena è coperta di fuliggine e scurita dal denso fumo nero che si leva dal castello in fiamme. Le grida del sovrano di Engarko e della sua famiglia sono cessate da tempo. Ora sulla collina non rimane che lei con i suoi pensieri.
Gli dei sanno essere crudeli, è una delle prime cose che ha imparato dagli sciamani: il fuoco brucia, inverno uccide, con l'oro si pagano i servigi e on l'acciaio si ripagano le offese. Ed i signori di Engarko meritano solo il bacio dell'acciaio.

Per innumerevoli secoli i sovrani della Prima Città hanno vessato i popoli ai loro confini con la forza del loro acciaio e della loro magia. Ovunque mettessero piede i loro emissari presto arrivava la promessa di vessazioni e domini. Il popolo di Engarko si è presto ingrassato con l'oro delle genti conquistate.
La più grande città del mondo. Superiore a Yatis la bella, più possente di Forte tempesta, antica quanto Ur. Engarko, la Prima Città, dove gli uomini si sono creduti simili a dei. Hanno stretto tutto nel loro dominio. Ora piangono e fuggono alla vista dei vessilli del nord.

Il castello è sparito, i passi di Ena sprofondano nella cenere. Ogni cosa è avvolta dal fumo. Ena, Madre della battaglia, è giovane. Qualcuno direbbe che è solo una ragazzina ma al nord il tempo scorre in modo diverso. All'età in cui le figlie de nobili di Engarko badano solo alle frivolezze Ena  ha forgiato le sue spade. Invece di essere promessa in sposa a qualche nobilotto Ena ha viaggiato, ha versato il suo sangue. Alla soglia della maggiore età i tredici capiclan l'hanno seguita al di là del Mare Stretto.

La Pace di Engarko è finita, travolta dalla furia dei barbari del nord. Proprio ora i regni vicini stanno preparando i loro eserciti. Marciano in file ordinate seguendo l'arco del sole per vendicare la caduta del tiranno che hanno imparato a chiamare Re. Ena lo sa e sorride: anche se liberate dal pastore le pecore desiderano solo un nuovo padrone.
Il fumo si fa più denso, la avvolge, man mano le grida dei suoi nuovi schiavi si attutiscono nella fuliggine. Credono che presto lei siederà sul trono del vecchio tiranno. Potrebbe farlo, da Madre della battaglia a Regina in un unica notte di sangue. Gli eserciti in marcia contro di lei calerebbero i vessilli per renderle omaggio.

Alle sue spalle il vento del nord si solleva sul mondo. Fumo e cenere si diffondono su tutta la città. Non sanno, non immaginano. Il vento soffia verso sud. Ena chiude gli occhi, annusa l'aria. Cenere e sangue, tutto ciò che resta di Engarko. La Prima città è cenere nel vento, sale nei campi.
Il tempi di Engarko è finito.
Ma la Guerra è appena iniziata.  

lunedì 21 gennaio 2013

La Furia del ferro


L'ombra alla base delle montagne è nera come i mantelli delle creature che la circondano. Il paesaggio è composto da rocce brulle e cespugli che tenacemente cercano di rimanere aggrappati alla vita. Qui la luce del sole non arriva mai se non per pochi secondi. Questo è il dominio del vento, del magma e del gelo.
Le terre brulle. I maestri dicono che qui vivono i demoni, due leghe più a sud c'è il fiume Artiglio: il confine della civiltà. Perché oltre il fiume non c'è nulla oltre che il male.
Eppure lei ed il suo popolo chiama queste lande casa. Così è stato e sempre sarà per volere degli dei e degli antenati.

Sono in sei. Avvolti in mantelli scuri come la notte, Ombre che vivono tra le montagne servendo il Prigioniero. Al tramonto di ogni nuovo ciclo sciamano sui villaggi alle pendici delle montagne in cerca del tributo di sangue e vita che gli spetta. La gente li teme, per il bene del villaggio giovani infanti vengono sacrificati ai servi del Prigioniero. Perché questa è la legge. Perché non si può fare altro.
Alla spalle di Breena le mura di legno del villaggio. Dietro le palizzate la gente la osserva come si guarda un pazzo. Davanti a lei sei Ombre nere avvolte tra stracci e catene. La stoffa mossa dal vento rivela zanne e artigli.
Si osservano per un istante. Poi è battaglia: Breena scatta in avanti roteando lo spadone le Ombre convergono su di lei. Catene, artigli e zanne le piovono addosso come una tempesta invernale. Lei non bada ai tagli che le si aprono sul corpo l'enorme pezzo di ferro che lei chiama spada si abbatte su una delle creature segandola in due. Accompagnando la potenza del colpo rotea sul posto giusto in tempo per parare gli artigli di un altra Ombra. Le catene di una terza le bloccano un braccio ma il peso della spada e la forza del colpo trascinano la cosa sul terreno. Un altra Ombra viene tagliata in due tra schizzi di roccia e sangue nero pece. Prima che le siano addosso Breena balza di lato per un attimo si accovaccia ansimando.

Il nord è una terra dura. I clan che vivono ai piedi delle montagne del Prigioniero sono duri come il ferro, il loro impeto brucia come il magma. Sono nati con la spada in pugno, secoli fa gli antenati di Breena si sono stabiliti tra quei monti, legati agli spiriti della terra e ai vecchi dei. Le loro spade ed asce come unica barriera tra le creature del Prigioniero e le fertili terre a sud del Fiume Artiglio. Hanno combattuto battaglie gloriose contro le Ombre, ogni clan vanta decine di eroi morti per difendere il giuramento fatto dagli antenati.
Poi è arrivato il declino. Il freddo, la notte e le Ombre hanno portato via il coraggio e la furia ai clan. Da guardiani i popoli del nord sono diventati vittime del Prigioniero. Sono passati anni da quando l'ultimo campione dei barbari ha sfidato le Ombre.

Sono questi i pensieri di Breena mentre le Ombre davanti a lei si fondono e si ingrossano in una nube nera. Le ombre prosperano nella paura e lei e il suo popolo non possono fare a meno di temerle.
Ancora inginocchiata fissa la massa informe di oscurità prendere le sembianze di un mostruoso gigante.
Breena sorride. Un sorriso di sfida di chi si è reso conto di non avere più nulla da perdere. Perché ora quando lei cadrà anche la sua gente pagherà il prezzo del suo affronto.
La cosa si lancia verso di lei con una velocità incredibile per la sua massa.
Il grido di battaglia risuona tra le montagne. Le gambe di Breena scattano solleva lo spadone sopra la testa puntando al cranio dell'Ombra. Il pugno della creatura la centra in pieno lanciandola di lato. Lei usa il peso della spada per roteare in aria. I piedi toccano la palizzata sfondandola. È solo un attimo poi Breena è di nuovo in aria con un secondo balzo i muscoli tesi percorsi da una forza non sua.
La Furia degli antenati è in lei. Lo spadone si abbatte sul ginocchio del gigante mozzando cartilagini e muscoli di tenebra. Le catene della cosa la flagellano ma lei ignora il dolore e continua a colpire una, due, cento volte. Il suo sangue si mischia a quello del nemico spargendosi sulla nuda roccia assetata.
La creatura spalanca le fauci, un primo getto di fiamme gelide colpisce il punto dove fino ad un attimo fa si trovava Breena. Il braccio della guerriera si copre di brina e schegge di ghiaccio. La mente ed il corpo di Breena non sono più suoi. Insieme a lei e la sua furia ci sono i suoi antenati ed i suoi dei. Non sente il dolore. Il braccio congelato continua a muoversi mentre la guerriera schiva in cerca del colpo che le farà chiudere il combattimento.
La cosa la segue cercando di afferrarla la ferita sulla gamba si sta rapidamente chiudendo, l'Ombra è eterna, Breena è solo una guerriera mortale.
Un altro balzo in avanti, un altro attacco privo di speranza. La creatura scansa il suo fendente ma Breena usa il suo slancio dando una spallata alla creatura con tutta la forza che ha. La spalla si spezza ma la creatura cade sulla schiena. Breena gli è subito addosso nelle fauci dell'Ombra sta nascendo un nuovo getto di gelo. Breena si tuffa in avanti, la lama dello spadone puntata verso le fauci dell'Ombra.
L'ondata di gelo la prende in pieno ma la lama affonda nella bocca della creatura fino a sbattere sulla roccia sottostante. L?ombra rimane immobile per un attimo poi si dissipa in una massa di fumo nero.
Breena cade a terra ansimante. Ora c'è solo lei sul campo di battaglia, il dolore è tornato. Le sue membra sono semi congelate ma lentamente inizia ad alzarsi puntellandosi con lo spadone. Ansima, sputa un grumo di sangue. Per un istante barcolla, quasi ricade al suolo, ma è solo un istante.
Il grido di trionfo di Breena risuona tra le montagne come la voce degli dei. L'eco lo fa rimbombare tra le valli. Breena grida a pieni polmoni come decine di antenati hanno fatto prima di lei. Grida con tutta la forza che le è rimasta così che il Prigioniero, nella sua dimora di fiamme, sappia di aver perso il dominio sulla sua gente.

mercoledì 16 gennaio 2013

ALL IN


Diciamo che ci ho provato. In teoria ho abbastanza birra in corpo per esprimermi in maniera poetica ma proprio non mi viene stasera. In questa notte piovosa sono lo stitico sulla tazza del cesso dell'immaginazione.
Quindi procederò con i pensierini delle elementari.
Sarà che quando piove come ha piovuto oggi hai un sacco di tempo per pensare ma il succo è che le cose non vanno bene.
O meglio, vanno benissimo da un lato e tragicamente male dall'altro.
Si, confesso che quando è iniziata questa storia pensavo fosse tutto molto più semplice. Com'è ovvio invece sono ancora qui. Fermo.
Se faccio due conti non sono andato troppo in là rispetto al punto di partenza.
Non ho un lavoro e per quanto reciti benissimo la parte di “quello che aspetta la telefonata importante” non credo lo avrò a breve termine.
A trent'anni mantenuto dalla famiglia non è una bella cosa. Puoi metterci tutti i fiocchetti ed i nastrini che vuoi ma suona comunque di merda.
La sceneggiatura e tutti i grandi progetti? Scorregge al centro di un uragano.
C'è gente che disegna, ci sono cose che scrivo ma la sensazione di star seduto a farmi pippe mentali non va via.
Non è un lavoro se nessuno si piglia manco la briga di sputarti in faccia.
Sto alla Prova centrale o devo ancora superare la prima soglia?
Sono scoraggiato perché nel mondo vero non ci sono i colpi di culo ma solo le occasioni perse. Nel mondo vero quando lei si gira e se ne va non si guarda indietro.
Certe volte mi sento a vacante. Ok, l'inadeguatezza e l'inutilità sono state mie compagne di vita sin dall'adolescenza non è quello il problema.
Il problema è che probabilmente non ce la farò. Non è la prima volta sicuro ma non farcela stavolta sarebbe infinitamente peggio.
Per cui, come i peggiori giocatori di poker con l'acqua alla gola, faccio l'unica cosa che mi viene in mente.
All in. A come viene viene.
Magari queste carte basse bastano per incastrare una scala. 

martedì 15 gennaio 2013

Trauma Team


Piove come se Dio ci stesse pisciando addosso . Fa freddo, quel tipo di freddo che riempie l'aria quando fai una gaffe alla cena con i genitori di lei.
Apro la porta e trovo i Carlos che osservano il lavandino come devono aver osservato gli alieni nell'area 51. mi avvicino, uno dei due si illumina in volto mi fa segno di guardare.
Il rubinetto è piegato di lato, la saldatura ha ceduto ed ora tutto il pezzo penzola come il cazzo di un impotente. Se provi ad aprirlo da qualche parte al suo interno l'acqua produce un basso guaito, lo stesso che produrrebbe l'impotente davanti ad una modella vogliosa.
Non si dovrebbe fare, è peccato ma mi scappa: gli bestemmio i morti a tutti e due. È napoletano arcaico ma Carlos Due sembra intuire qualcosa, fa una faccia strana, prova a dire qualcosa. Lo guardo malissimo e un metro e novanta di ragazzone fa una faccia mortificata. L'altro gesticola cercando di generare empatia. Il messaggio è abbastanza chiaro: “giuro l'ho toccato solo ed è diventato così.” mi guarda speranzoso. Carlos Due borbotta qualcosa in spagnolo che potrebbe significare “ci appelliamo alla Tua misericordia per rimediare alle nostre mancanze.”

Mannaccia a me e a quando ho impugnato un cacciavite per rimontare la mensola.

Guardo N°1. Guardo N°2. Guardo il lavandino. Numero uno ha in mano una pinza a becco lungo. Nella mia testa si forma una nitida immagine di lui che me la porge con aria speranzosa. Prendo un respiro. Con la mano tocco il rubinetto, provo ad aprire l'acqua tutta la parte pendula vibra leggermente, un guaito basso riempie la cucina. Esplodo. 

-MA COSA STRACAZZO DEVO FARE IO MO!?- i due si ritraggono sorpresi. È la prima volta che attacco ad urlare in casa e il fatto che non capiscano la lingua non attenua l'odio nelle mie parole.
-CHE POI COME SFACCIAMA AVETE FATTO A SCASSARLO? VE LO SIETE SBATTUTO A CULO?!-

Mi giro e vado nella stanza. Non è una buona cosa maltrattare due dementi ma oggi girano assai le palle e questa è la ciliegina sulla torta. Non è colpa loro. La colpa come il peccato nasce molto prima.
Stacco, interno giorno. Un'agenzia interinale semivuota, io seduto di fronte all'ennesima tizia dall'aria spocchiosa che fissa con un misto di disprezzo e compatimento il mio curriculum.
-Guardi, il suo curriculum è interessante ma purtroppo la nostra agenzia sta cercando un tipo di persona diversa.-
-Del tipo?- questa non l'avevo mai sentita, merita un approfondimento.
-Cerchiamo giovani attivi e dinamici da inserire nei nostri quadri aziendali.- fa lei col miglior tono da call center.
Sto per ribattere. Sto per dire che mica sono un vecchio, che pure io merito di essere sfruttato e sottopagato come tutti gli altri. Poi un flash mi passa davanti agli occhi: sono in coda al supermercato una signora prima di me sta posando un quintale di roba sulla cassa. Per puro caso nota il singolo pacco di pasta che ho in mano. Guarda la cassiera e dice:
-Faccia fare prima al signore che ha solo una cosa.-
Signore?
Poi un immagine sulla carta di identità: data di nascita: 17/03/1983.
una molla scatta.
Trent'anni, la fine di tutto

scusatemi Carlos, non è colpa vostra. È il destino che si sta accanendo.

mercoledì 9 gennaio 2013

Progetto Angels


NOTE: questo è un progetto che sto sviluppando. secondo i piani dovrebbe diventare una serie di storie da 22 pagine da autoprodurre (per il come e il quando rimandiamo ad un post futuro) al momento questa è una presentazione dei punti chiave. la storia in se per se sta subendo alcune limature.
potete rendervi utili in due modi: 
1)dire che ne pensate
2) se siete disegnatori e vi va di metterci mano offrivi per la parte grafica del progetto (contattatemi in privato)
buona lettura.
PS: l'immagine qui sopra è presa a caso da internet.


Angels

Concept
L'umanità è sull'orlo dell'abisso. Nelle ombre della Terra i demoni ed altre mostruosità sussurrano alle orecchie degli uomini trascinandoli sulla via del male. Michael, il più grande tra gli arcangeli vaga sulla terra in spoglie mortali. Dio stesso lo ha incaricato di ripulire la Terra dal male.
Ma forse è tutto nella sua testa, le terribile conseguenza del crollo nervoso che ha subito in Iraq. Forse la sua missione è solo il delirio di un folle, nulla è reale tranne i mostri.
Perché i mostri esistono davvero.

IL PASSATO
Cresciuto in una famiglia di origini irlandesi il forte senso del dovere e una rigida istruzione cattolica hanno portato Michael ad arruolarsi nelle forze americane già ai tempi della prima Guerra del Golfo. Naturalmente portato per la guerra Michael riuscì in poco tempo a scalare i ranghi militari fino al grado di capitano nei corpi speciali dei marines. Lui e la sua squadra eseguivano missioni speciali sul territorio nemico durante la seconda invasione dell'Iraq.
I resoconti qui si fanno frammentari: quella che doveva essere una semplice missione di recupero si trasforma in un totale fallimento. La squadra del capitano Michael viene spazzata via da nemici ostili sconosciuti. Il capitano stesso risulterà disperso per otto giorni per poi fare ritorno in stato confusionale e gravemente ferito al campo.
Ulteriori indagini non riescono a ricostruire gli eventi. Tre mesi dopo Michael viene congedato per motivi psicologici e rimandato in patria. I medici diagnosticano un crollo nervoso e una forte psicosi a sfondo religioso. Interrogato il capitano dichiarerà sempre di aver incontrato Dio.

QUELLO CHE E' SUCCESSO DAVVERO
Durante la sua ultima missione la squadra di Michael avrebbe dovuto ripulire un edificio nei pressi di Baghdad. La missione procedeva secondo i piani ma, durante le fasi finali delle operazioni la squadra è stata assalita da creature inumane simili ad enormi uomini bestia. Per quanto abili gli uomini di Micheal sono rapidamente capitolati e il capitano stesso ha perso conoscenza durante la battaglia. Non sa come sia sopravvissuto a quelle creature, non sa cosa abbia fatto negli otto giorni di vagabondaggio nel deserto. I suoi ricordi si interrompono per riprendere nel momento in cui lui torna al campo base americano.
Da quel momento Michael ha percepito una presenza estranea nella sua testa. Lui è convinto si tratti dell'arcangelo Michele che lo ha protetto nel momento del bisogno ed ora guida le sue azioni per i suoi scopi.

ORA
Michael ha intrapreso una vita di vagabondaggi spostandosi di città in città seguendo il suo istinto e le indicazioni fornitegli dall'angelo per portare avanti una caccia spietata alle creature inumane come quelle che lo hanno aggredito in Iraq.
Negli anni successivi al congedo ha incontrato vari tipi di creature paranormali come vampiri, licantropi e spettri. La voce dell'angelo lo guida di città in città attraverso un reticolo di cospirazioni e intrighi portati avanti dalle creature della notte.
Michael non si cura delle conseguenze legali della sua crociata convinto di stare combattendo una guerra più grande delle leggi umane. In molti stati la polizia è stata vicina a catturarlo ma sembra che la fortuna, o la provvidenza, lo tengano sempre un passo davanti agli inseguitori.

IL NEMICO
la maggior parte delle creature a cui Michael da la caccia sono creature isolate che vivono in maniera parassitaria nella società umana come vampiri o creature mutaforma. Non tutti i suoi avversari sono inumani. Alcuni umani in grado di utilizzare la magia possono diventare bersagli o alleati in base all'uso che fanno delle loro capacità.
Oltre alle creature isolate ci sono i demoni: bersagli principali della caccia. Variano molto in potenza e forma in base alla loro gerarchia: alcuni hanno una forma umana e piccoli poteri mentali; altri, i più potenti, sono veri e propri spiriti che corrompono e manovrano pedine umane per i propri scopi. I demoni lavorano di concerto ad un loro personale piano di corruzione globale cercando di coordinarsi ed aiutarsi l'un l'altro. Il loro scopo è scatenare l'apocalisse.

IL NEMICO DENTRO
ultima delle minacce che Michael deve affrontare sono le sue stesse paure. La sua missione e le creature che combatte sono troppo assurde per essere reali. Una parte di lui ha paura di essere semplicemente impazzito. La sua psicosi gli potrebbe far vedere creature mostruose dove invece ci sono solo persone. Teme di essere diventato un serial killer o qualcosa di peggio.


venerdì 4 gennaio 2013

La crocetta che mi cambierà la vita


Napoli, Via Giacinto Gigante. Ore undici e trenta circa.

A chiamarlo bar farei un torto alla lungimiranza dei proprietari. Si, ok c'è il banco, la macchina per l'espresso e tutto il resto. C'è una signora grassa circondata da gomme e mentine dietro alla cassa ma, nell'illuminato progetto dei proprietari, oltre a staccare scontrini la vecchia arcigna vende anche sigarette. Poco più in là un'imponente struttura di alluminio e vetro separa il resto del locale dalla ricevitoria. 
Al centro della sala, esattamente equidistante tra la zona bar e quella scommesse, un espositore fa il suo lavoro mostrando elegantemente i principali quotidiani della penisola.
-'Sti ladri di merda!- sentenzia un tizio sovrappeso e la voce “segni particolari: precedenti penali” sulla carta d'identità. Sta sfogliando La Repubblica con sguardo critico.
-Ci vuole la rivoluzione.- fa un altro, un tipo magrolino ingiallito dal fumo.
-Vabbuò tanto tra un po' si vota e poi sono cazzi loro!- replica il grassone.

Scarto di lato e mi avvicino alla cassa. Intanto la discussione prende vita.

-Prima ci ammazzano di tasse mò vogliono pure che li votiamo? Ah ma a sto giro non mi fregano. Non ci vado proprio a votare.- dice il Secco.
-E che risolve?- la nuova voce appartiene ad un cinquantenne vecchia maniera appena intrufolatosi nella discussione. -C'è gente che si è fatta ammazzare per darle il diritto di votare.-
-Si, o'Zì, però a che serve votare queste merde?- ribatte il grassone.
-E mica devi votare a loro. Vota a Grillo! Quello gli fa un culo così a tutti.- per rafforzare il concetto lo “zio” mima con le mani il programma politico dei grillini.
-A me quello mi pare un altro Berlusconi.- dice il Secco.
-Magari, fosse come Lui, staremmo a posto tutti.- si intromette uno dalla cassa.
-Quello pensa solo a chiavare! Figurati che glie ne fotte.- dice il grassone.
-E perché Bersani è meglio?- fa il nuovo venuto.
-Quello è scemo proprio, sta sempre a ragionare ma non quaglia mai un cazzo- 
-Beh, almeno ci prova- fa il secco giusto per restare in conversazione.
-State a sentire a me: a Grillo dovete votare.- ribadisce lo "zio"
-Io voto a Di Pietro. Era magistrato li manda carcerati lui a tutti quanti, te lo dico io.- fa il grassone.
-A sto punto vota a quello... quell'altro magistrato... Ingroia mi pare- fa il secco.
-Qua stiamo sempre a parlare delle solite cose! Ci vogliono idee concrete. Ci vuole il nuovo. Non possiamo stare sempre a cercare i ladri.- fa il belusconiano.
-Il nuovo? Berlusconi?- dice lo zio.
-Fin ora ha fatto bene. Poi l'hanno incastrato con la storia delle spead.-
-A me mi pare che si è fatto solo i cazzi suoi.- ribatte il grassone.

La conversazione degenera rapidamente in un muro contro muro. Sono cinque mondi paralleli che all'improvviso collidono cercando d'incastrarsi tra loro. È come se cinque persone volessero infilarsi insieme in una tuta elasticizzata senza sembrare un sacchetto dell'immondizia con le gambe.
L'operazione fallisce miseramente. Cade il silenzio. Ognuno dei contendenti alla deriva nei suoi pensieri, stranamente qualcosa delle altrui opinioni è penetrato nella scorza d'ignoranza dando vita al dubbio.
-A febbraio si vota.- borbotta lo zio. 
Come a dire che entro la fatidica data ci si dovrà decidere. È l'Italia che lo chiede: il popolo unito nel democratico ed illuminato atto di mettere una crocetta su un simbolo per poi tornare soddisfatti a discutere al bar.
È una di quelle crocette che ti cambiano la vita.

Intanto nella fila della ricevitoria fisso il foglio delle quote: “Napoli – Roma” dove devo mettere la crocetta?

giovedì 3 gennaio 2013

la colpa del Peperone (2)


Sede Centrale della Bonelli Editore. Le sirene antincendio ululano, il panico nella redazione è paragonabile solo a quello nel Pentagono subito dopo la scoperta dell'inizio di una guerra atomica. Per Sergio Bonelli al momento l'idea di un Fallout nucleare sarebbe infinitamente più rassicurante di questo.
-Signore, i server, gli hard disk... è tutto andato- dice uno dei redattori.
-I backup?- Sergio già conosce la risposta è la sua speranza a porre la domanda. Lui è già in un mondo di dolore.
-I che?-
Un sospiro, lungo, una boccata d'aria. Quasi si può sentire il cervello di Sergio contare fino a dieci.
-Le copie cartacee? Che diavolo deve esserci rimasto qualcosa!-
-Ehm, signore, pare che l'incendio sia partito da lì. È tutto andato.-
Sergio si massaggia pazientemente le meningi, un redattore più esperto coglierebbe al volo il segnale ma esperienza e perspicacia sono cose che mancano completamente a questo specifico redattore.
Se le avesse avute non sarebbe andato lui a fare rapporto. Il silenzio è rotto solo dalle sirene antincendio.
-Signore? Cosa facciamo?-
Bonelli estrae una Glock da sotto la giacca e spara in testa al redattore, non è un gesto completamente inutile. Sergio è una persona pratica, uno di quelli che affronta i problemi uno alla volta man mano che si presentano seguendo la gerarchia fino alla soluzione. Eliminare un incompetente può sembrare un gesto di stizza ma in realtà è la soluzione ad un problema: Sergio non è mai stato capace di concentrarsi con degli idioti che gli blaterano intorno.
-Radunate i disegnatori.- dice rivolto a nessuno in particolare. -Poi attaccatevi al telefono, gli sceneggiatori devono avere qualche file salvato. Possiamo riprenderci.- i redattori sopravvissuti lo fissano ammaliati per un istante prima di mettersi all'opera.
-Sai che non è stato un incidente vero?- dice una voce alle spalle di Sergio.
-Si, ma chi può essere stato? Gli americani?-
-No qualcosa di peggio. Gli americani non farebbero un lavoro così rozzo.-
-E allora chi? Siamo il vertice della catena chi oserebbe sfidarci?-
Roberto Recchioni esce dall'ombra calpestando pezzetti di plastica e mucchietti di cenere sotto gli anfibi, la punta della katana fa capolino dall'impermeabile ad ogni passo.
-I wannabe.- la voce è carica di disprezzo.
Sergio lo fissa per un attimo, ci mette un po' a collegare.
-Tu che ci fai qui?- chiede.
-Sapevo che c'era bisogno di me.-
-Quindi almeno tu hai dei backup delle tue cose?- di nuovo speranzoso come uno spasimante a cui è stato detto “ti voglio bene come un amico”.
-No, una volta spedita la roba preferisco non occupare spazio sul computer.- in verità Recchioni potrebbe subaffittare interi giga di memoria dal suo computer, il problema è che poi non girerebbero bene i giochi. Già il suo mac è appesantito da migliaia di foto di gattini coccolosi che ama collezionare. Ma ovviamente preferisce non pubblicizzare la cosa, ne va della sua reputazione.
-Se non hai nemmeno il tuo materiale allora a che mi servi?- Chiede Sergio piccato.
-Posso fare in modo che la cosa non si ripeta più.- Recchioni sguaina leggermente la katana in un gesto eloquente.
Sergio Bonelli rimane per alcuni secondi in silenzio, non è una decisione da prendere alla leggera. Potrebbe scatenare qualcosa di tremendo. A sua giustificazione possiamo dire che la sua casa editrice da leader del settore è precipitata al più infimo livello di produttività, non ha nulla da pubblicare, nulla con cui far soldi. Al momento la Bonelli ha le capacità produttive di due cinesi con una fotocopiatrice.
-Procedi.-


Roma, Zona Appia-Tuscolana, casa Bartoli ore undici e quaranta. Squilla un telefono. Lorenzo si contorce sul divano cercando di non far cadere il mac per vedere il numero: “Sergio Bonelli” recita il display.
Secondo la fisica un corpo non può passare da uno stato di quiete ad uno di grande velocità senza l'applicazione di una forza. Lorenzo lo fa, scatta in piedi posando il portatile sul divano. Corre per casa cercando uno dei gatti e afferra un sigaro. Dopotutto è il capo della mala degli sceneggiatori (vedi “la colpa del peperone") ed anche senza telecamere in giro deve restare nel personaggio.
Accende il sigaro buttando fuori un po' di fumo. Si piazza gambe larghe in controluce davanti al balcone. Il telefono in una mano e un gatto recalcinante ed assonato nell'altra. Appena gatto, telefono e sceneggiatore trovano un loro equilibrio risponde.
-Pronto?-
-perché ci hai messo tanto? Iniziavo a pensare che ti avessero preso.- dice Sergio dall'altro capo.
-Stavo facendo una cosa.- dice Lorenzo con fare misterioso -A cosa devo il piacere?-
-Siamo sotto attacco, il peggiore degli ultimi anni.-
-Peggio della Guerra Manga?- chiede Lorenzo scettico.
-Molto peggio. Ho dovuto mandare Roberto.-
Silenzio
-Dio abbia pietà di noi.- per un attimo nella mente di Lorenzo passano immagini delle efferatezze del suo ex socio. Per un attimo, solo per un attimo, il suo duro cuore di pietra prova pietà.
-Ma ora non mi interessa questo. Mi servono pagine, qui è tutto fottuto.-
-Ed io che dovrei fare? Sono uno scrittore adesso, ho smesso coi fumetti.-
-Stronzate, mi serve del materiale ed in fretta!- sbotta Sergio.
-Quanto in fretta?-
-Diciamo per oggi pomeriggio.- fa Sergio
-ti costerà caro.- con un'abile mossa il gatto sfugge alla presa di Bartoli, fortunatamente la sua figura di “signore del male” non ne risente troppo, almeno finché lo inquadrano stretto sul viso.
-Non ho più nulla! Con cosa ti pago? Arretrati di Tex?-
Click!

Altre telefonate non vanno meglio. Poco tempo dalla consegna, nessun guadagno se non la gratitudine. Non sono esattamente condizioni di lavoro ideali per degli sceneggiatori professionisti. Di quelli abituati a farsi pagare. Poi a Sergio viene un idea: i wannabe.
Una telefonata a Recchioni. Poi si passa all'azione.

Roma Furio Camillo, una stanza di 2 metri per 3 una mail fa capolino nello spam. Guardo con aria scettica il mittente: “sergiobonellieditore”. Sa di pacco ma al apro lo stesso. Il mio cuore ha un mezzo infarto. Vogliono la mia roba, tutta. Dicono che hanno letto quel soggetto che gli ho inviato e gli è piaciuto. Dicono che hanno visto le sceneggiature che Dal Prà usa per tenere pulita la gabbia del criceto e le trovano geniali.
A mia insaputa in tutti i computer d'Italia aspiranti sceneggiatori ricevono la stessa mail. Gente che non ha mai messo in fila due pagine, gente che odia il sistema ladro e balordo che non li fa lavorare. La Bonelli chiama e i Wannabe rispondono. Da qualche parte qualcuno ride in maniera maniacale. Il piano ha funzionato.

Epilogo
busso timidamente alla porta dopo aver abbondantemente deglutito alla vista della targhetta “Sergio Bonelli – the Boss”. Spingo la porta. Un ufficio sontuoso, qua e là macchie nere di fumo, una grossa scrivania davanti ad un lucernario, un uomo sulla sedia, la lama di una katana sulla gola.
Le cartelline con le sceneggiature cadono a terra. Anche la vescica da il suo contributo.
-Salve. Ti ricordi di me vero?- chiede Recchioni, non lo posso vedere in faccia ma so che sta sorridendo.
-Tu dovresti essere morto.- balbetto.
-Prima regola del fumetto: nessuno muore davvero.-
-è lui?- chiede Sergio dalla sua poltrona.
-No.- dice Recchioni. -ma è un buon inizio.-
ZOK!

mercoledì 2 gennaio 2013

creatività


Tomas Mendosa è fermo in mezzo alla stanza. Il fissa gli occhi sul pavimento a scacchi cercando di non pensare al resto della mobila che muta in continuazione come mercurio portato all'ebollizione. Non vuole pensarci, forse è impazzito, forse sta succedendo qualcosa di più grande di lui. Non lo vuole sapere. Della lunghissima serie di bisogni presente in ogni essere umano non resta nulla se non l'istinto di uscire da lì il prima possibile.
Tutto sta nel capire dove sia “lì”.
Ha smesso di guardare le finestre da quando il paesaggio ha iniziato a cambiare: prima New York, poi una città futuristica, poi una landa desolata piena di morti viventi. L'edificio in cui si trova ha almeno mantenuto un minimo di coerenza: da penitenziario è passato prima a riformatorio, poi ad albergo. Pochi secondi fa era una qualche struttura militare ma ora già ha preso l'aspetto di una caserma. Nella testa di Tomas ronza un solo pensiero: lui è il capo di questo posto atroce, lui è il responsabile e se la struttura (e il mondo) la smettessero di mutare magari potrebbe anche fare qualsiasi cosa sia richiesta dal suo ruolo. In questo mondo mutevole le uniche certezze di Tomas stanno nella sua testa, ma non sono incoraggianti: sa di essere un pezzo di merda, sa (non chiedetegli come) che in qualche momento del prossimo futuro farà del male a dei bambini, sa che farà una fine orribile e che avrà meno di dieci minuti di gloria. Nulla di incoraggiante ma a sentire gli esperti gli umani sono produttori naturali di false speranze.
Visto che sta cambiando tutto magari potrebbe cambiare anche lui? Magari anche il suo futuro? Potrebbe cavarsela? Di sicuro no se resta impalato nel corridoio a contare le mattonelle. La fortuna alle volte bisogna aiutarla.
Il corridoio non cambia mai forma, a volte cambiano gli intonachi e i mobili ma punta sempre verso un unica porta. Magari è lì che deve andare a prescindere dal suo istinto che gli sta consigliando di farla finita lì e impazzire una volta per tutte.
Tomas muove i primi passi e la struttura si stabilizza, riformatorio pare, brutto segno. La porta è sempre lì, da vicino riesce a leggere il suo nome sulla targhetta. Mano sulla maniglia, un bel respiro e …

Napoli, fuori piove, fa un freddo che non ha rispetto dei soldi spesi in riscaldamento. Gente che si aggira per casa si ferma in un punto, parla e poi va via senza essere interessata alla risposta. Davanti al portatile perdo il filo di quello che stavo scrivendo, una, due,tre volte. Rileggo l'ultima battuta.
Oddio, l'ho scritta io sta merda?
Cancello la pagina. Penso qualche secondo e ricomincio.
Dall'altra stanza qualcuno mi chiama, mollo tutto. Vado a vedere. No, no niente.
Riguardo la pagina per riprendere il filo, un paio di dialoghi e un nome tornano a essere pixel bianchi. Sto per scrivere, alzi le mani
A TAVOLA!
Poi tutta una serie di urli di risposta. Chi cerca tempo, chi protesta, chi non ha sentito.
Mollo tutto, finisco dopo. Qualunque cosa doveva fare Tomas in questa storia è dimenticata nei meandri del casino che fermenta in casa.

Poi uno dice perché scrivo di notte.

martedì 1 gennaio 2013

La mafia dell'anello (2)


Come ogni volta che quelli del Drappo Rosso partivano per una delle loro missioni la pace calava sul Ratto Zoppo. Oltre a una mezza dozzina di ubriaconi e qualche aspirante eroe la locanda era vuota lasciando a Jeff libero di dedicarsi alla sua attività preferita: fumare la pipa e recriminare contro la sfortuna che lo aveva inchiodato lì.
Gli uomini del Drappo avevano fermato la sua ascesa ma Jeff aveva imparato a non dare la colpa al coltello e a concentrarsi sul rapinatore che lo impugnava. Quei dannati avventurieri si erano così concentrati sui suoi affari da perdere completamente di vista il quadro generale.
-una volta gli eroi andavano a nord a farsi uccidere dal Signore Oscuro.- borbottò in una zaffata di fumo puzzolente -Ora invece si immischiano negli affari della mala cittadina-.
Uno degli ubriaconi distesi sul banco sollevò la testa fermamente convinto che i borbottii di Jeff fossero un invito ad un altro giro. Il locandiere lo ignorò mentre la sua attenzione si concentrò sull'insistente chiacchiericcio querulo nell'oscurità oltre l'ingresso. Jeff conosceva quelle voci e le odiava, come odiava oltre tre quarti del creato del resto. Se gli uomini del Drappo erano il coltello quelle erano le voci dei rapinatori.
Il proprietario della voce spalancò la porta usando più la sua arroganza che la forza delle braccia. Si stagliò per qualche secondo sull'uscio con i suoi sgherri ai lati e poi entrò con passi misurati e melodrammatici. Abiti eleganti di ottima fattura, gioielli e lame ben in vista, capelli tenuti in lunghe code di cavallo L'effetto generale sarebbe potuto essere molto migliore se non fosse stato che il più alto dei tre arrivava a stento alla cintola di Jeff ed era largo il doppio di un qualsiasi grassone umano. Hobbit
-ci mancavano anche i piedipelosi- borbottò Jeff.
Quello dei tre che sfoggiava l'orecchino più pacchiano, chiaro simbolo del comando in tutte le congreghe criminali dell'universo, si avvicinò al bancone con i migliori grandi passi che la gambe gli concedevano. Jeff li osservò con astio mentre svuotava la pipa con gesti misurati. Attese che i due sgherri aiutassero il capo ad arrampicarsi sullo sgabello poi, con un sorriso tirato, quel tipo di sorriso che di solito si riserva ad una battuta di cattivo gusto disse
-benvenuti nella mia umile locanda nobili signori-
-si, si, salute anche a te- rispose l'hobbit
-cosa desiderate mio signore?-
-fare due chiacchiere.- il mezzuomo si fece pensieroso per qualche istante e poi aggiunse -e se in questa bettola hai del vino che non sia ancora diventato aceto farai bene a offrirmene un po'-
la parola 'offrire' fece sparire la finta cortesia del locandiere.
-e di quali alte questioni vuoi discutere con me Ron?-
-non dimenticare il tuo posto Ratto-
-lo conosco il mio posto- fissò l'hobbit -un metro sopra la tua testa.-
Il mezzuomo rimase in silenzio facendo cenno ai suoi uomini di rinfoderare i coltelli.
-sempre tagliente, eh Ratto? Devi capire che i tuoi giorni di gloria sono finiti- ridacchiò -il capo tollera la tua bettola, non è una persona irragionevole-
-lo so. Gli piace tenermi bene in vista- disse Jeff.
L'espressione del mezzuomo si trasformò in un istante. Il suo sorriso diventò incredibilmente simile a quello di uno squalo, uno squalo molto nervoso.
-allora perchè, in nome degli dei, continui a sfidare la nostra pazienza?-
-io?- disse Jeff -che avrei fatto per sfidare il grande e potente clan?-
-sai benissimo che hai fatto!- ringhiò l'hobbit -hai spedito quelle teste calde del Drappo contro quei briganti!- dopo un attimo di silenzio tenne a precisare -i nostri briganti!-
-non avevo idea che fossero i vostri uomini- disse Jeff
-io ho solo mandato quegli idioti sulle colline sperando che si facessero ammazzare- il sorriso del locandiere, però, sottintendeva tutt'altro. Un messaggio che detto a parole sarebbe suonato più o meno così: si esatto li ho mandati io. Conosco tutte le vostre attività, tutti i vostri alleati e tutti i vostri nemici. Una volta ero io il capo, o quasi. Fossi in te e in quell'idiota del tuo capo ringrazierei gli dei che io mi limiti solo a darvi fastidio ed eviterei di venire qui a provocarmi perché non si può mai sapere quale asso posso avere nella manica pronto all'uso.
Era uno tra i bluff più improbabili e rischiosi della storia della città e forse proprio per questo che il piccolo cervello di Ron, da sempre refrattario ad ogni tipo di pensiero critico, decise che c'erano abbastanza probabilità che Jeff dicesse sul serio. Dopotutto Jeff era un infido bastardo.
Il silenzio che seguì durò alcuni minuti interrotto solo dal basso mugolare degli ubriaconi stesi sui tavoli del Ratto Zoppo. Ron e Jeff si fissarono per tutto il tempo finché il mezzuomo non decise di aver trovato la giusta linea d'azione per non perdere la faccia senza rischiare ritorsioni.
-questo era un avvertimento- disse Ron -stai molto attento, la prossima volta il capo potrebbe non essere così buono-.
Detto questo Ron e i suoi guardiaspalle girarono sul posto come un gruppo di ballerine grasse, brutte e totalmente prive di grazia ed inforcarono la porta uscendo nello squallido vicolo fuori dal Ratto Zoppo.
Finalmente solo Jeff strappò dalla floscia mano di un ubriacone un boccale mezzo pieno e lo sorseggiò con un ghigno privo di allegria.