qualche giorno fa il Prof mi ha fatto
una specie di regalo. Una bicicletta che stava a prender polvere nel
suo garage. Sicuramente quando è stata comprata è stata caricata di
ogni tipo di buona intenzione ma, come saprà la maggior parte della
gente che vive in questa città folle che si da arie da capitale, per
muoversi in bici per Roma devi essere pazzo.
Centoottantacinque euro. Ultimi residui
dell'immenso patrimonio di quasi cinquemila euro che avevo quando
sono arrivato. Tra stanza corso e roba da mangiare (e molto più
cazzeggio di quello che avrei voluto) i fondi sono finiti e bisogna
arrangiare con quello che c'è.
Il collegamento è quasi automatico.
Dopo gli ultimi due giorni mi domando
se siano ancora rimaste tracce di maglietta in mezzo a tutto quel
sudore e soprattutto come mai non sia ancora morto. Qui i ciclisti
sono visti un po' come gli unicorni: esseri quasi mitologici dotati
di poteri sovrannaturali (come quello di schivare le auto in corsa.
Ho vissuto questi ultimi sei mesi nella
ferrea convinzione che Roma non fosse così piena di salite come
Napoli. Ovviamente, visto che si parla ogni tanto dei famosi sette
colli, mi sbagliavo. Ogni litro di sudore ne è la prova mentre in
barba al collasso cardio-respiratorio arrancavo su una salita di cui
ignoro il nome.
Mi fanno male le cosce, dei polpacci
manco a parlarne, ogni volta che scendo i gradini di casa devo
trattenermi da una sinfonia di “ahi e “ohi” più consono ad un
ottantenne. Dopo questi primi due giri credo che ogni supermercato
nel raggio di dieci km da casa sappia chi è Stefano Ficca: un tizio
sudato che consegna un foglio spiegazzato di curriculum dove millanta
mirabolanti imprese nel campo della salumeria. Anche gli addetti
delle agenzie interinali stanno iniziando a conoscermi. Ovviamente
fin ora non ci sono risultati apprezzabili.
In due sono andati via da casa. Il
balcone è tutto mio. Dopo settimane di caldo finalmente un
venticello fresco spira sulla Appia. La luna piena, che porta
consiglio, illumina alcune cartacce su cui ho scarabocchiato il senso
della vita e la storia che voglio scrivere. Ancora una volta batto i
tasti a ritmo con le chitarre elettriche di gruppi sconosciuti.
Attendo.
Sei mesi fa è iniziato uno dei periodi
più belli della mia vita. Batte il “momento ferrarese” e frega
a mani basse il periodo “conad” ma pecca molto in denaro. Devo
risolvere la faccenda prima che la naturale entropia dell'universo mi
riporti a casa. Ma non devo perdere di vista il vero obbiettivo.
E quindi, mentre mi godo il fresco alla
luce della luna, dopo tanto tempo. Scrivo.
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