martedì 31 luglio 2012

Qualcosa

notte, fuori il caldo afoso ed umido sale dall'asfalto lambendo la facciata del palazzo. Si insinua tra i mattoni riscalda le finestre fin su al sesto piano. Non si sente volare una mosca se non per l'occasionale auto di passaggio.



Silenzio dentro, fuori e tutt'intorno. Il mondo si è fermato, forse ha smesso digirare o forse il calore ha portato via tutto: ogni frivolo pensiero si è sciolto da tempo ed è stato portato via dal sudore. Si cucina, si mangia, si lava si stira e si scopa solo lo stretto indispensabile in attesa che il calore passi. Non si dorme. Sarebbe piacevole dare la colpa al caldo, alle lenzuola zuppe di sudore, ai dannati motociclisti che si allenano per il moto gp sulla Appia ma sarebbe troppo facile.



La porta è chiusa, la finestra è aperta il ventilatore sposta aria calda contro altre cose calde. La casa è silenziosa e vuota. Ma non sono solo.



Giulia (Pigiama) è andata via quasi tre giorni fa. Sono riuscito a tornare da Napoli in tempo per vedere la scena e conoscere i suoi genitori. Ora so da chi ha preso le sue strane abitudini: alle 2 meno qualcosa stanno ancora cenando.



La Cula, quell'orrendo aborto mancato privo di simpatia, è sparita nel nulla la sua compagna di stanza anche. Non che sia una novità la seconda Cula (raffaella credo) lavora dall'alba al tramonto o qualcosa del genere. La incontro solo quando ho il turno di mattina. E per fortuna non è questo il periodo.



Sono solo in casa. Non c'è un rumore eppure c'è Qualcosa. Non è il ticchettio della lavatrice né i normali gemiti di dolore delle tubature. È Qualcosa di più profondo e più persistente come un rumore di fondo che all'improvviso sparisce. Prima era fastidioso ora è inquietante.



Parlo da solo in questi giorni. Non c'è anima viva in casa e nemmeno fuori, dopotutto è Agosto, chi è partito, chi è lontano e chi ha altro da fare. Parlo da solo per fare alcune conversazioni che altrimenti mi resterebbero in gola. E magari se lo intrattengo questo Qualcosa mi lascerà in pace.



L'unico contatto umano è quello con i colleghi del lavoro scemo: gente con famiglia a venticinque anni. Qualcuno con figli. Sembra che la loro unica soddisfazione sia lavorare (oltre che vantarsi i imprese mirabolanti). Non sono definibili conversazioni quando sei costretto ad annuire tra un aneddoto e l'altro. E poi chiacchierare e lavorare insieme mi fanno andare in tilt il cervello.



L'altra mattina una strana conversazione tra battute e risate mentre andavo via la capa mi fa:

“ma a te piace questo lavoro?” col tono di chi si aspetta di sentire un si

“mi piace avere uno stipendio” faccio io sorridendo

“quindi ti piace o non ti piace” fa lei un po' spiazzata

“mettiamola così” dico io ironico “se fossi miliardaria verresti lo stesso a lavorare?”

“ma non sono miliardaria” dice lei palesando che per lei una “metafora” è al massimo un formaggio di qualche paese strano.

“appunto” faccio io


mercoledì 25 luglio 2012

blocco

Qualcosa di malvagio serpeggia dentro al cervello. qualcosa che non vuole saperne di andarsene nè di fare spazio ad altre cose più importanti. la si potrebbe definire crisi mistica, mancanza di ispirazione, ansia. il suo vero nome però resta sempre lo stesso: Estate.

lunghe giornate soleggiate e afose non fanno bene alla creatività. non fanno bene a nulla se devi passarle a fare un lavoro che non vuoi fare solo per la necissita di avere dei soldi che non puoi avere altrimenti.

in metro i ragazzi vanno verso il mare, i turisti si accalcano verso le tante attrattive della città. tu prosegui fino al lavoro con la speranza, mal risposta, che le ore passino in fretta. non lo fanno mai perchè è nella natura del tempo dilatarsi quando sti facendo una cosa che non sopporti, quando il tuo unico desiderio è che passino le tue 6 ore e la smettano di urlarti in testa così che tu possa tornare a casa.

A casa, dove potresti fare le cose a cui tieni davvero ma sei stanco i nervi tesi e non sai perchè. il pensiero ricorrente che domani comunque devi ritornare lì. non fai nulla ti fissi sulle cose più sceme perchè il cervello non riesce a trovare la tranquillità per fare ciò che serve.

Estate, nessuno parte mai prima. quando si parla delle vacanze ci si lamenta a turno del fatto di restare in città per impegni presi e soldi dati ad altre cose. Ma alla fine tutti partono in qualche modo: chi torna dalla famiglia, chi organizza last minut, chi si accoda ad altri e chi va nella casa al mare che sembra aver scoperto dieci minuti prima.

nei libri puoi trovare tonnellate di parole sulla solitudine dell'autunno e la fredda tristezza dell'inverno ma in realtà la vera solitudine è l'estate. l'estate di chi lavora restando solo abbandonato anche dai propri pensieri la testa riempita da un unica persistente ansia: tra quanto inizia il turno? che succederà stavolta?

sabato 21 luglio 2012

Il viaggio dell eroe

ho letto un libro di recente, continuo a leggerlo in verità, è una miniera incredibile. Il libro si intitola come questo post ed un saggio sulle storie. Tutte le storie. La tesi del libro è che tutte le storie, dai miti greci fino all'ultimo blockbuster seguano uno schema comune. “il viaggio dell'eroe” per l'appunto. Secondo l'autore la cosa non si ferma alle storie, per quanto è universale il modello lo si può trovare e applicare a quasi qualunque cosa compresa la vita reale. E così, tanto per fare una prova ecco il mio viaggio.



Il mondo ordinario

2011, sono due anni che lavoro al conad, ogni sera torno a casa verso le nove ceno e poi mi costringo a fare qualcosa di costruttivo. Ogni tanto mi vedo con gli amici e mi sento con Aurora (primo mentore). Le cose non vanno bene o meglio stanno in quella normalità e piattezza che lentamente ti fanno impazzire. Il pensiero ricorrente è: “è finita una gioranta che potrebbe essere uguale a se stessa per il resto della mia vita”. L'unico momento di svago è quando gioco di ruolo con il resto del gruppo. Lì do sfogo a tutto quello che si è accumulato nella settimana e finalmente sono davvero felice.

La chiamata all'avventura

giugno circa verso la mezzanotte. Cazzeggiavo su internet. Mi sono licenziato da circa due mesi e ancora non ho ben chiaro il piano. Da qualche parte nella mia testa una voce mi sta convincendo a raggiungere Emanuele (messaggero) e Aurora a Roma ma non so ancora per fare cosa. Poi mentre vagavo su un sito di fumetti si apre un pop-up on la pubblicità della scuola di comics. Da qualche parte nella testa una vocina grida “Amen! Finalmente hai capito”. Quella sera farò le 4 del mattino cercando informazioni e rigirandomi il sito come un portafoglio vuoto.

Rifiuto della chiamata

ci metto il tempo di una notte a convincermi che si trattava di un idea stupida e a tornare alle mie normali attività (che consistevano nel languire senza fare un cazzo) poi quasi un mese dopo spinto da Zia Lucia (messaggero e mentore) decido di tentare. Un fine settimana vado a Roma annunciando a casa l'idea e mi iscrivo.

Incontro col mentore

secondo i piani sarei dovuto essere ospite di Aurora ed Alessandro per un mesetto mentre cercavo qualcosa per mantenermi ma una feroce alluvione su Roma gli allaga casa il giorno prima della prima lezione. Solo grazie a Luca (trickster) che mi mette a disposizione una casa che la sua famiglia ha a Roma riesco a salire su in tempo per il corso. Arrivato lì conosco da vivo Lorenzo (il professore. Mentore). La prima lezione per certi versi sarà traumatica ma sarà anche una delle cose che mi renderà più felice della mia vita.

Superamento della prima soglia

avanti veloce di tre mesi mentre faccio il pendolare tra Napoli e Roma per seguire il corso. Le lezioni vanno avanti in crescendo. Ad un certo punto quasi mi convinco di essere bravo. Siamo a gennaio i miei vedendomi carichissimo sulla storia del corso mi offrono la possibilità di trasferimi su aiutandomi economicamente per la durata del corso. Poco dopo trovo una stanza a Furio Camillo e nel giro di una settimana mi trasferisco a Roma.

Prove alleati e nemici

a parte i ragazzi del corso si inizia a formare dal nulla una rete di amici e conoscenza tra cui gli ex alunni di Lorenzo (i Faq Tales) e il loro mirabolante progetto in cui vengo tirato dentro

avvicinamento alla caverna più profonda

fine giugno. Il corso finisce e i soldi pure. Anche se il voto è un 30 e lode sono comunque preccupato di quello che sarà adesso che devo effettivamente fare qualcosa in più che prendere pacche sulle spalle dal resto del gruppo e dagli amici. Inoltre non ci sono più soldi per continuare a vivere a Roma e se qualcosa non cambia dovrò ritornare giù a Napoli massimo per fine Luglio

Prova centrale

tramite una pensate geniale di Aurora mi cade in testa un lavoro da Eataly: un centro commerciale dell'italianità. Dopo una serie di rapidi colloqui che mi strappano da una visita alla mia famiglia mi ritrovo di nuovo a fare il salumiere in un mondo per me completamente alieno. Ora in teoria dovrebbero arrivare dei soldi. Una buona metà della mia giornata è occupata e a olte non trovo il tempo per scrivere. Il fatto di sentirmi come se fossi ritornato al punto di partenza mi terrorizza e mi esalta allo stesso modo per certi versi da ora potrei avere una stabilità economica ma la mia forza di volontà ora sarà messa alla prova per cercare di continuare a portare avanti i progetti che sono nati durante il corso e subito dopo. Il rischio di perdere tutto è grande.



Purtroppo non posso continuare perchè siamo fermi qui al momento. Se la vita fosse un film dopo un periodo più o meno lungo in una spinta di creatività e di orgoglio dovrei riuscire a mettere una scopa con uno dei miei progetti magari finaziandolo proprio con i soldi che dovrei guadagnare da questo lavoro. A quel punto messa la prima scopa sarebbe un crescendo che potrebbe portarmi verso le realizzazione in una professione considerarta inesistente come lo sceneggiatore di fumetti.



Ma ovviamente qui non siamo in un film. La prova? Nei film non vedi mai l'eroe andare in bagno. Io invece ci vado spesso. Devo solo fare attenzione a non far cadere nella tazza più del necessario.


martedì 17 luglio 2012

C'è lavoro e Lavoro

Al momento nella mia vita ci sono due lavori che convivono. Ognuno ha le sue implicite ed esplicite leggi, entrambi si contendono il mio tempo anche se è palese che uno dei due è superiore all'altro di parecchie leghe. Il primo, il lavoro scemo, al momento fa sì che io abbia dei soldi sul conto corrente oramai prosciugato. Mi permette di conoscere nuova gente interessantissima di quelli che si sposano a 21 anni metton su famiglia e sono felici così. Oltre a questo e ad un costante rapporto con dirigenti chiaramente bipolari, il lavoro scemo regala anche la possibilità di puzzare di formaggio e grasso dopo ogni turno. Ma il lavoro scemo porta soldi (o almeno dovrebbe).



Il lavoro serio invece per ora non solo non porta un euro ma probabilmente se ne prenderà molti. È un lavoro solitario che mi vede seduto ingobbito davanti al portatile mentre provo a dare un senso alle voci nella mia testa. Alla maggior parte della gente il lavoro serio appare come un hobby o come un inutile perdita di tempo. Da però soddisfazioni anche lui: mi permette di tirare fuori cose dalla mia testa (a parte il cerume) e spesso mi porta in contatto con personaggi più o meno particolari con cui ci si fomenta a vicenda facendo finta che un giorno qualcuno pagherà.

Allo stato attuale entrambi i lavori sono indispensabili: uno porta soldi subito e l'altro porta soddisfazioni in seguito ma molte cose bollono in pentola ed è necessario che fiducia e soldi restino in alto.



Nel frattempo ecco le semplici regole di sopravvivenza per entrambi i lavori:



lavoro scemo

1)tieni la testa bassa e non attirare l'attenzione

2)stai sempre in movimento così da dare l'impressione che stai effettivamente facendo qualcosa

3)non prendere mai iniziative personali, il capo si sentirà soddisfatto all'idea che pendi dalle sue labbra

4)sii disponibile e generoso con i colleghi. Un giorno potrebbe servirti la loro disponibilità

5)sii umile al limite dell'inettitudine anche sulle cose che sai fare così che quando loro te le spiegheranno sembrerai un genio e pure modesto

6)arriva sempre dieci minuti prima e vattene dieci minuti dopo il tuo orario. Non sono cose che ti sconvolgono la vita e sembrerà pure che sei uno di buona volontà.

7)meglio un incarico lungo e noioso che uno complesso

8)mai e per nessun motivo parlare del Lavoro Serio. I colleghi non capirebbero e i capi ti considererebbero pericoloso perchè aspiri a qualcosa di più di una promozione a vice salumiere supremo

9)racconta sempre aneddoti brillanti (anche e soprattutto inventati) ma che si concludano sempre in modo tragicomico. Fa simpatia e aumenta il cameratismo.

10)dici sempre di si. Non è importante che poi continuerai per la tua strada ma è inutile discutere con chi ha già deciso



Lavoro Serio

1)tieni i piedi per terra e lo sguardo in alto: metà del lavoro è convincersi che sei il migliore e se ti fermi un attimo a riflettere la realtà della situazione potrebbe tramortirti.

2)scrivi almeno una pagina al giorno di qualcosa. Se ti fermi anche un solo giorno perdi l'allenamento

3)non lo stai facendo per i soldi, non ancora

4)una volta che hai irretito un disegnatore con minacce false promesse e finte speranze non fartelo scappare. A costo di sabotare la sa assunzione in una casa editrice seria (sempre che non ti porti con se)

5)sii sempre affabile e diplomatico con tutti. Non si sa mai chi conosce chi e chi diventerà chi in un futuro prossimo

6)mai e dico MAI darla vinta a un disegnatore che “ha avuto un idea”. Il loro lavoro è disegnare quello che gli dici non pensare.

7)se proprio dovete cedere (magari perchè l'idea è realmente valida) fategliela sudare

8)lascia sempre un margine d'azione al disegnatore dicendogli frasi tipo “la cosa importante è che si veda questo poi fai un po' tu che sei quello che sa disegnare”. In questo modo possono sfogare le loro pulsioni creative dove non fanno danno e non nel momento topico della storia

9)siamo tutti amici ma se questo è un lavoro io non sono un tuo amico sono un dittatore

10)sii megalomane. Convinciti di essere un clone di Alan Moore con geni di Gaiman e Morrison. La tua unica speranza è di essere talmente convinto di essere bravo che anche il mondo intorno a te non potrà fare altro che accettarlo

domenica 15 luglio 2012

La Regola Prima

2009 era appena iniziata la crisi. Non se ne capiva più di adesso ma già c'era l'aria pesante dei brutti anni a venire. Nel Novembre di quell'anno gli studenti stavano tirando su un casino contro la Gelmini come non se ne vedevano da anni al punto da far illudere anche i comunisti della prima ora come Zio Gianni che stava arrivando la svolta. Non arrivò ma è un altra storia.



A quel tempo io ero appena tornato a Napoli dopo troppo tempo a Ferrara a non concludere nulla e tagliare alberi a prezzi stracciati per avviare un attività che poi è implosa per l'ovvio che tutti ignoravano. Io intanto era rientrato, un po' con la coda tra le gambe, un po' come uno che torna dal Vietnam. Il puro caso mi aveva fatto piovere in testa un lavoro tramite “uno zio che sa uno che ha un parente che cerca uno per lavorare”.



Era quasi un mese che stavo in quel fottuto Conad a spezzarmi la schiena perchè per quanto mi pagassero poco mi trattassero come un idiota e via discorrendo per me era questione d'onore farmi il mazzo. Se non altro per riscattare la fiducia di mio zio che ci aveva messo la faccia. Si entrava alle 8 di mattina si usciva alle 8 di sera se non più tardi. Dopo il primo mese praticamente non campavo più. Poi venne La Regola.



Come vi potrebbe dire chiunque abbia fatto almeno un giorno di lavoro nella vita: non si apprezza davvero il tempo libero finchè non ne hai. Io non ne avevo e francamente la cosa mi faceva innervosire abbastanza. Purtroppo non avevo nemmeno i soldi ma avevo troppi anni abbastanza da farmi vergognare di vivere a spese dei miei.



Però il tempo libero ci voleva e da qualche parte doveva uscire. Così nacque La Regola, è una cosa semplice di quelle che facilmente puoi trovare su quei libricini new age tipo: “10 semplici regole per non essere un idiota credulone che compra libri new age” o anche “come aumentare l'autostima” oppure “come convincersi che è il mondo che è sbagliato e non voi che siete stupidi”. Ma sto divagando, La Regola recita:



“almeno una volta al giorno, a prescindere da tutto, fai qualcosa che ti piace. Che ti piace davvero”



semplice facile ed elegante. Sono rimasto in quel Conad per due anni e mi sono ammazzato di fatica al punto da non volermi ricordare di alcune giornate. Ma quasi ogni sera, quando avevo un minimo di tempo, mi riscattavo: uscivo, vedevo un film, anche una birra in solitario o giocavo a D&d. Dopo la prima settimana il fisico si era rassegnato al fatto che per quanta stanchezza avessi in corpo non me ne fregava nulla.



Oggi. La crisi è finita quattro o cinque volte e per stare dietro a certe bugie i giornalisti non hanno più il termine per definirla. Gli indignados hanno tirato su un casino ma quando di nuovo tutti ci stavamo sperando sono spariti come se gli scontri di Roma fossero un messaggio universale: “non fate casino che alla fine si arriva a questo”. Adesso la gente non ha il tempo di protestare: chi lavora non ha tempo e soldi da perdere per andare agli scioperi e sotto sotto quasi nessuno ci crede più.



Come la prima volta nel momento in cui i telegiornali non mancano mai di comunicare quanto sia difficile trovare un lavoro io l'ho trovato. Anche se il concetto è lo stesso questo posto sta al Conad come Plutone sta alla Galassia di Andromeda: uno è piccolo brutto e rozzo l'altro è immenso nobile e importante. Luglio, Monti ci sta facendo il culo già da un annetto, Berlusconi si ricandida con al fiducia di chi sa che la gente dimentica. L'aria è di nuovo pesante, in lontananza si sente di nuovo l'odore di anni cattivi.



Se stringi la lente sul mio piccolo microcosmo vedrai gente che va sotto convinta di nuotare e gente che mano a mano riemerge. Altri, molti, che galleggiano. Se stringi ancora il campo mi potresti vedere arrancare per la strada sotto il sole. Otto ore di supermercato sono tante e di quel supermercato sono francamente troppe. Ma La Regola è La Regola.



Steso su un prato nella penombra di un pino uguale a quello di casa mia fumo, le scarpe un po' più in la lo zaino con i vestiti da lavoro dietro la testa. Non si direbbe a vederlo ma anche se tutto è incerto come l'equilibrio di un angelo sulla punta di uno spillo. Ora in quel momento. Sono felice.

venerdì 13 luglio 2012

Primo Giorno


Antefatto.
Il capo del personale di Eataly è la copia sputata della moglie di Bisio in Benvenuti al Sud. Ha fatto domande di rito ed ha ottenuto borbottii di rito a modi risposta. Il candidato non è uno che parla troppo ma lei ha bisogno e forse è silenzio rientra tra le qualità. L'esaminatrice sorride per un microsecondo: “voglio fare un tentacivo” dice come se il tentativo non fossi tu ma un altro che ora è giù al bar. “sai fin ora ne abbiamo cambiati molti a questo banco. Tutti si presentano come i migliori del mondo e poi...” lascia a metà la frase sapendo benissimo che quello che c'era da capire si è capito.

Il povero candidato la guarda sorridendo ma non troppo. Non è un esperto di persone ma ha capito da tempo che se si fosse presentato a colloquio un babbuino che millantava abilità nei coltelli lei avrebbe assunto anche quello.

“non ho mai detto di essere il migliore” dice il candidato con quella che spera sia un espressione seria ma non troppo. “magari molte cose non le so fare ma di sicuro sono uno che lavora e che non si fa impressionare dalla fatica”.

Poche battute dopo il dialogo termina con la chiameranno. Stretta di mano e ciao.



Giovedì ore dieci. Per paura di fare tardi sei lì dalle nove. Ti hanno dato tutto il necessario tranne il contratto e per questo ora sei fermo in attesa perchè senza non ti fanno andare. Aspetti un ora poi ti viene presentata la tua responsabile: Ivana dice la capessa del personale, Giulia dice lei. Dettagli.

Visto che per un qualche motivo si sono persi un pezzo del tuo contratto lavorerai solo quattro ore e poi nel caso recuperi. Sai del tempo che passa in base alle sigarette che non puoi fumare. Ivanagiulia è un buon capo: paziente come Gordon Ramsey, disponibile come un cane idrofobo a cui offri una gamba per vedere che fa. L'antifona la capisci subito e cerchi di operare il più lontano possibile da lei. Difficile visto che nessun azione può essere intrapresa senza la sua approvazione.



Non ti fanno entrare nel banco, l'affettatrice l'hai toccata solo per pulirla (e ha un infinità di pezzi in più rispetto al modello napoletano da diventar pazzi). Un torinese caruccia e disponibile, che solo in seguito scoprirai essere la seconda di Ivanagiulia, ti tallona da vicino a volte spiegandoti cose che già sai ma il trucco è fingere di non saperle così da risultare uomo pratico. Il reparto è immenso. Praticamente tra cella banco e laboratorio copre tutto il conad dove stavo prima. Siamo sempre almeno in 6 oltre Ivanagiulia: quattro galoppini e due orsi polari (sono quelli che lavorano solo nella cella frigo).



Sharon una ragazzetta piccoletta che ha qualcosa di molto simile a Valentina (la collega di un tempo) mi prende subito in simpatia perchè voglio aiutarla di mia iniziativa invece di andare a cercare altri incarichi dal capo. Ogni tanto mi guarda in tralice e scuote la testa o annuisce a seconda di quanto sbagliata o giusta è la linea d'azione del momento o di quanto incazzata sia Ivanagiulia.



Non tocchi un coltello ma in compenso scopri dell'esistenza di salumi folli roba che in un supermercato normale sarebbe condannata all'invenduto eterno. In pratica ti fanno fare lo scaffalista del banco frigo. Oltre a Debora (la torinese) i tuoi principali interlocutori sono gli orsi polari. Alle due praticamente ti cacciano in malo modo facendo intendere quanto sia peccaminoso restare a lavorare dopo il tuo turno.



Obbedisco. In fondo peccare è peccato.



Epilogo

il secondo giorno è una girandola di eventi che comprende l'uso di alcuni coltelli e la rivoluzione del banco. Oltre che la manipolazione di una quantità spropositata di mozzarelle. Per la seconda volta alle due ti cacciano ma con una tremenda promessa: hanno capito quante ore devi fare. Ovviamente erano meno di quelle che pensavi tu per cui domani e dopodomani si attacca alle otto e si chiude alle cinque. Ma c'è addirittura un ora di spacco. E dopotutto per due anni hai fatto dieci ore di lavoro quasi allo stesso stipendio. Finchè non ti chiederanno un iniziativa puoi sopravvivere.

mercoledì 11 luglio 2012

il messaggio del destiono

non ho davvero tempo per scriver eun post vero ma mi vengono da fare alcune considerazioni sul senso della vita e su alcuni antichi detti napoletani che citava quell'eminente anima di mio cugino, un anima infarcita di stupidità a ben guardare:

"chi nasce tondo nun mor quadr"

ovvero se sei in una maniera è inutile sforzarsi di cambiare che la tua natura avrà sempre la meglio. adesso non ho ben chiaro se sia questo il caso ma analizziamo i fatti: mollo il lavoro nel conad in quel di Napoli perchè stufo di fare il salumiere, vengo a Roma studio per 6-8 mesi sceneggiatura per fumetto dilapidando le risorse accumulate nei suddetti due anni, resto senza soldi, torno a fare il salumiere in un centro commerciale a ostiense ( a 5 minuti da dove c'era la scuola comics).

adesso uno non crede al destino e a tutte quelle cose lì ma un piccolo dubbio che qualcuno lì su mi stia suggerendo qualcosa mi viene. mi viene ma non lo ascolto (o almeno ci provo). questo lavoro è solo aria è quella cosa che deve darmi i soldi per fare le cose serie.

nè più nè meno e se dovessi pensare anche solo per un attimo di continuare questo e mollare i fumetti...lo dico a voi: amici, parenti e micro fan club. FERMATEMI!

martedì 10 luglio 2012

la storia tra le note


Invidio i musicisti, quelli seri, quelli veri. Perchè sotto tutte quelle note, anche senza parole, ogni brano nasconde una storia. Sarà successo a tutti: ascoltare una qualunque musica e cucire con la mente una storia sulle note. Li invidio i musicisti, non avevo in mente nulla ma poi è bastato un pezzo da tre minuti e rotti per far uscire questo:



“è notte. Una di quelle notti che si possono ammirare solo nelle terre desolate. Nessuno osa calpestare le ceneri radioattive, nessuno vuol disturbare le cose che vivono qui. Tranne chi non può fare altrimenti.

Disperati, derelitti, feriti e moribondi. Un tempo li avrebbero chiamati soldati ma ora non sono nulla solo ombre di un qualcosa che è finito. Nessuno ricorda gli sconfitti se non i sopravvissuti. Si tengono stretti alla vita anche se la causa per cui hanno combattuto è perduta, si aggrappano all'ultima cosa che gli è rimasta: l'odio. Li hanno traditi, hanno preso il loro sogno e lo hanno distorto fino a farne un incubo orrendo. Hanno distrutto tutto ciò per cui valeva la pena combattere e stretto nel loro guanto di ferro quello che è sopravvissuto. Non gli è rimasto nulla. Le cenciose figure si stringono intorno alla cosa più simile che gli è rimasto.

Il nemico siede sul trono, un milione di spade al suo servizio.

Tutto è perduto se non la vendetta”



è per questo che considero cazzeggiare su youtube una parte fondamentale del processo creativo, se non hai la musica giusta la storia non esce, devi attirarla. Stasera sono andato oltre: mettendo in fila i brani uno dopo l'altro nella mia mente si è formata una storia nuova. Non c'è ancora una lettera su foglio ma finchè suona la musica tutto sta al posto suo.

Chi sa se la vedete anche voi:

inizio

punto di svolta

la chiamata
prima soglia
la battaglia
scontro finale

se vi viene in mente pure a voi qualcosa fatemi sapere sono curioso di sapere se anche voi avete visto la stessa storia

venerdì 6 luglio 2012

Seduto al Bancone


la cameriera ti guarda con un misto di paura e ammirazione mentre posa sul legno umido la quinta pinta di Harp. Tu la ringrazi con un sorriso gioviale pieno di autocontrollo che quasi la spaventa ancora di più. Alla quinta pinta non si dovrebbe avere tutto questo autocontrollo. Lei va via tu ti ingobbisci di nuovo come quegli ubriaconi che si vedono nei film. Fissi con aria sconsolata le scure profondità schiumose della birra. Da qualche parte nella testa si formano immagini di pirati e marinai intenti in una feroce lotta nello schiumoso mare in tempesta. Intorno a te fioriscono conversazioni. Quel tipo di conversazione che ti fa scappare un sorriso. Gente che racconta con voce impastata dall'alcool le su personali imprese e disgrazie. Tendi l'orecchio: è tua ferma convinzione che anche una formica ha qualcosa d'interessante da raccontare davanti ad una pinta di birra.



Lei lo fissa come ci si fissa tra poveri, con quel disprezzo malcelato che chi finge di essere migliore riserva alle classi sociali meno fortunate. Lui farfuglia qualcosa mentre allunga il curriculum con un espressione servile. Lei si impettisce facendo chiaramente capire a lui quanle onore sta ricevendo. Un intera fila di gente alla spalle di lui testimonia l'importanza dell'attimo. Lei scruta il curriculum mentre fa qualche domanda di rito giusto per infastidire l'aria con al sua voce. Lui smette di fissarla come si fissa il medico prima che emetta il verdetto delle analisi. Si fa coraggio e inizia a snocciolare le sue competenze, poca cosa pensa lei con disprezzo, ma il fatto che lei lo osservi interessata gli da più slancio e la voce di lui diventa mano mano più sicura mentre elenca le sue personali dodici fatiche. Lei crede che non stia bene avere tutto quest'orgoglio. Dopotutto la gente deve saper stare al proprio posto. Se lui fosse stato una persona di successo non sarebbe stato lì a implorare per un lavoro. Lo interrompe con alcune domande, si finge interessata. Poi, sul più bello, lo liquida: questa non è la sede giusta per questo tipo di cose, deve andare altrove. Tanti saluti e avanti un altro.



Lei è stupenda. È qualcosa che lui fa fatica ad immaginare al di fuori di una copertina platinata. Il fatto che lei sia lì dietro quel bicchiere di guinness lo rende ancora più nervoso. 'ci deve essere un trucco' pensa 'non è possibile che una così esca con me'. Lei prende il boccale e fa un piccolo sorso sorridendo con gli occhi. Ci sa fare sa cosa vuole ed è evidente che non ha mai fatto troppa fatica per ottenerlo. Dopo i primi dieci minuti la sua personalità si è già palesata come quella di un rompighiaccio in missione nell'Antartide: qualcosa che va avanti ineluttabile sospinto non tanto dalla forza dei motori ma dal fatto che gli è stato detto che nulla la può fermare. Lui azzarda qualche tentativo di conversazione. Lei coglie la palla al balzo. Dopo i primi dieci minuti tutti quelli a portata d'orecchio, tranne il diretto interessato, sanno che sta sbocciando un amore. Il diretto interessato è troppo occupato a meravigliarsi della sua fortuna per potersi anche solo accorgere di quello che succede. Non è importante, domani mattina sarà felice.



È quasi mezzora che è lì da solo. Si guarda nervosamente intorno fumando una sigaretta dopo l'altra in attesa di qualcosa. Qualsiasi cosa: dall'arrivo dei suoi amici a uno sbarco alieno in mezzo alla strada. Manco ci voleva venire, domani ha da lavorare e il lavoro è un po' come la droga: lo odi ma non puoi farne a meno. Intanto è mezzora che quegli altri “stanno arrivando” e lui vorrebbe essere in qualunque altro posto se non lì sotto lo sguardo curioso delle cameriere.



CRASH! Il terzo boccale della serata che va in frantumi. Lei guarda il capo con espressione colpevole. Ha un bel sorriso, uno di quei sorrisi che trasformano la rabbia in risate. I vari ubriaconi seduti al bancone le fanno dei cenni d'incoraggiamento col capo. Due di loro posano soldi sul banco in cerca di altra birra. Nessuno pare badare al boccale a pezzi, se non il ragazzo che sta alzando i cocci. Lei sorride. In teoria sarebbe un avvocatessa con tre esami dalla laurea ma l'arte di arrangiarsi l'ha risucchiata. Quasi ci prova gusto adesso.



Esce fuori verso i tavoli all'esterno. “dai un occhio” ha detto il capo con espressione di chi la sa lunga. E lui ha colto al volo l'occasione di fumersi una sigaretta fingendo di controllare i tavoli. Uno è vuoto. Il cervello del cameriere subito richiama alla memoria l'immagine di due anziani seduti al tavolino. Gli occhi non possono far a meno di notare che entrambi i vecchi mancano dalle sedie. “sti stronz...” inizia a pensare poi una banconota da cinquanta euro smorza ogni sua imprecazione.



Non sa parlare italiano, a stento spiccica qualche parola di inglese ma l'istinto gli ha fatto il dono delle lingue. Mentre si avvicina con le sue rose verso i tavoli già sa dal linguaggio del corpo chi accetterà e chi rifiuterà. Non ha ancora bene inquadrato i termini ma dal tono di voce riesce a risalire al grado del rifiuto. Non demorde inizia il primo giro, poi il secondo e dopo una decina di minuti il terzo. Alcuni si spazientiscono altri si esasperano. Al quarto giro tra gli esasperati qualcuno compra credendo che questo li risparmierà dal quinto giro. Sbagliano.



La cameriera torna per recuperare i piatti dal banco. Al posto delle cinque pinte non c'è nessuno. Gli scontrini sotto i bicchieri le ricordano che hai già pagato. Lei prende i bicchieri con una stretta di spalle. Tu nel frattempo barcolli verso casa. Un ghigno idiota in faccia ed una decina di storie nuove nella testa.

mercoledì 4 luglio 2012

The Siculo's Supremacy (1)


Parigi, per poco giusto il tempo di lasciare la Francese ai suoi affari. Poi Napoli e in meno i mezza giornata Palermo. Nessuno bada a lui perchè su quel barcone che la Tirrenia ama chiamare traghetto la gente bada agli affari suoi. Giuseppe non ha intenzione di far cambiare loro idea.



Ora qui: una stanza buia in uno scantinato della Palermo vecchia. La gente qui sotto, tra fiaschi di vino e casse di salumi, si aspetterebbe di trovare un boss un padrino dall'aria imponete. Invece quello che Giuseppe ha davanti è un omini piccolo, quel tipo d'uomo che a vederlo sembra nato per strisciare nella vita con aria viscida da berlusconiano. Non che il suo orientamento politico interessi a Giuseppe, a lui servono solo le sue informazioni.

Basta una pistola posata sul tavolo e al piccolo omini passa la voglia di elencare i suoi amici. Lo sguardo sorridente e silenzioso di Giuseppe funziona più di un migliaio di parole. Il tappo canta, canta con al sua voce gracchiante e incrinata dalla paura:

“si ti hanno fregato ragazzo”
“questo lo so”
“pare che qualcuno ha chiesto il permesso ai capi...”
“in che modo?” la mano si poggia casualmente vicino alla pistola.
“hanno pagato un indennizzo, sono usciti alcuni capi” tentenna il tappo
“che tipo di gente era?”
“e io che ne so!? Mica li ho mai visti, sono uno tranquillo io” per un attimo il tappo si indigna.
“sicuro, uno tranquillo che si fa i fatti propri, come le comari del paese.”
“esatto” quasi riprende colorito
“avete molte cose in comune, per esempio la vicinanza alla morte”
il tappo sbianca si irrigidisce e poi riprende come se nulla fosse.
“sembrava gente seria, gente italiana o di ancora più su. Completi scuri occhiali alla moda e pistole serie. Non quelle scacciacani che usano qui”
Giuseppe annuisce pensieroso.
“ti darò una cosa per i boss. Impacchettata. Tu non l'aprirai e la porterai a lui senza fiatare solo davanti a lui, in privato, gli dirai che è da parte mia. Poi prima che lui la apra te ne andrai”
“sarà mica una vendetta? Sono uno tranquillo io!”
“nessuna vendetta, se fai come ti dico te ne andrai con le tue gambe.

È un attimo, la pistola sparisce sostituita da un pacchetti di carta marrone mentre la sedia davanti al tappo è vuota. Il tappo segue il rumore dei passi, poi quello della porta che si apre e poi si richiude con un tonfo. Solo allora la sua vescica si prende la libertà di cedere.



Parigi. La torre Eiffel, l'arsenale il Louvreè. È tutto così interessante così bello e così vivo ma per quel che riguarda la Francese potrebbe esplodere domani mattina. Al piccolo bar ad un angolo due uomini in abiti scuri la osservano con lascivia mentre si avvicina al tavolino. Si siede guardandoli come se i due fossero sguatteri e non agenti del SiSME con esperienza decennale. Lei passa a lor la piccola cartella scura che teneva nella borsa. Il primo la prende la scorge e la passa al secondo che osserva con più attenzione fa per apreire la bocca ma il primo lo precede:

“che ci fa a Palermo?”
“ci siamo separati subito dopo l'arrivo all'aereoporto. Doveva sbrigare degli affari”
“di che genere?” chiede il secondo per darsi un tono.
“cercare le informazioni che voi vorreste tenere segrete immagino” sorride come se si parlasse di ricette di dolci e non di terrorismo internazionale.
Il secondo mette via la cartella e fa per alzarsi buttando alcuni euro sul tavolino: “grazie per la collaborazione”
“dovere” dice in tono ironico.
Anche lei si alza mentre il primo gli mette in mano una pennetta USB. L'espressione è seria come quella di un marine pronto allo sbarco.
“mi dispiace di arrivare a tanto. Anche lei sa cosa c'è in ballo...”
“il nuovo ordine mondiale o qualcosa di simile” dice con aria di sufficienza la Francese mentre si allontana per le stradine di Parigi.
“quella donna è pazza” sussurra il primo
“è per questo che non ci ha sparato all'istante” dice risoluto il secondo.
I due vanno via. Presto si dovranno sistemare molte cose e non sarà saggio rimanere a Parigi.


martedì 3 luglio 2012

...e mò pedala


qualche giorno fa il Prof mi ha fatto una specie di regalo. Una bicicletta che stava a prender polvere nel suo garage. Sicuramente quando è stata comprata è stata caricata di ogni tipo di buona intenzione ma, come saprà la maggior parte della gente che vive in questa città folle che si da arie da capitale, per muoversi in bici per Roma devi essere pazzo.



Centoottantacinque euro. Ultimi residui dell'immenso patrimonio di quasi cinquemila euro che avevo quando sono arrivato. Tra stanza corso e roba da mangiare (e molto più cazzeggio di quello che avrei voluto) i fondi sono finiti e bisogna arrangiare con quello che c'è.



Il collegamento è quasi automatico.



Dopo gli ultimi due giorni mi domando se siano ancora rimaste tracce di maglietta in mezzo a tutto quel sudore e soprattutto come mai non sia ancora morto. Qui i ciclisti sono visti un po' come gli unicorni: esseri quasi mitologici dotati di poteri sovrannaturali (come quello di schivare le auto in corsa.



Ho vissuto questi ultimi sei mesi nella ferrea convinzione che Roma non fosse così piena di salite come Napoli. Ovviamente, visto che si parla ogni tanto dei famosi sette colli, mi sbagliavo. Ogni litro di sudore ne è la prova mentre in barba al collasso cardio-respiratorio arrancavo su una salita di cui ignoro il nome.



Mi fanno male le cosce, dei polpacci manco a parlarne, ogni volta che scendo i gradini di casa devo trattenermi da una sinfonia di “ahi e “ohi” più consono ad un ottantenne. Dopo questi primi due giri credo che ogni supermercato nel raggio di dieci km da casa sappia chi è Stefano Ficca: un tizio sudato che consegna un foglio spiegazzato di curriculum dove millanta mirabolanti imprese nel campo della salumeria. Anche gli addetti delle agenzie interinali stanno iniziando a conoscermi. Ovviamente fin ora non ci sono risultati apprezzabili.



In due sono andati via da casa. Il balcone è tutto mio. Dopo settimane di caldo finalmente un venticello fresco spira sulla Appia. La luna piena, che porta consiglio, illumina alcune cartacce su cui ho scarabocchiato il senso della vita e la storia che voglio scrivere. Ancora una volta batto i tasti a ritmo con le chitarre elettriche di gruppi sconosciuti. Attendo.



Sei mesi fa è iniziato uno dei periodi più belli della mia vita. Batte il “momento ferrarese” e frega a mani basse il periodo “conad” ma pecca molto in denaro. Devo risolvere la faccenda prima che la naturale entropia dell'universo mi riporti a casa. Ma non devo perdere di vista il vero obbiettivo.



E quindi, mentre mi godo il fresco alla luce della luna, dopo tanto tempo. Scrivo.

lunedì 2 luglio 2012

Colpo di Reni


mi girano i coglioni, non ho ancora deciso esattamente perchè ma qualcosa mi dice che il tutto è legato alla tragica mancanza di soldi, di femmine di cose piacevoli della vita che non siano lo stramaledetto alcool che oramai mi fa compagnia ogni stramaledetta volta che le palle iniziano a girare.



Ricapitoliamo per il pubblico che a casa si annoiava a seguire: il corso è finito, 30 e lode e tutti a casa felici e contenti. Anche i soldi sono finiti: 180 euro e qualche spiccio poi fine dei giochi. Fa caldo fa così caldo che le idee si sciolgono nella scatola cranica prima di arrivare sul foglio e anche se ci arrivano lo fanno con una fatica che mi è nuova.



Come ogni altra volta quando mi ritrovo nel mondo vero mi sento spaesato e insulso. Come quegli orsi che scendono in città per ritrovarsi braccati senza capire nulla di quello che sta succedendo ma con tutti che gli urlano contro. Quando sto così mi viene sempre da pensare a quanto tempo ho buttato nell'immondizia mentre facevo finta di essere una persona normale invece di ammettere di essere un sociopatico con la testa piena di storie e con pochissima praticità. Se mai vedrò uan macchina del tempo tornerò indietro ad avvisarmi. Si potrei sconvolgere il continumm spazio-temporale ma magari mi risparmio otto anni di perdita di tempo. O forse magari quegli otto anni hanno fatto la differenza. Nel bene e nel male.



Mi sento perennemente all'inseguimento. Ultimo in una maratona che nel frattempo ha chiuso i battenti da ore senza che nessuno si prendesse la briga di avvisare. Il “mondo reale” non è posto per me me ne rendo conto da anni ma purtroppo è l'unico in cui si può vivere. Giuro che ci provo ma la verità è che mi fa proprio paura. Non capisco la gente normale, non capisco le situazioni normali e mi annoio a morte in quelle che la gente chiama “conversazioni educate”.

Giuro che il prossimo che si mette a parlare del tempo lo prendo a paccheri. Il tempo, la politica, sta sfaccimma di nazionale. Abbiamo toccato il fondo e siamo contenti di rimanerci perchè in superficie devi nuotare e fa fatica.



Ero al pub stasera, quando sto nervoso vado al pub e consumo oltre le possibilità di portafoglio e fegato. È stato lì che ho visto la tristezza: un appuntamento a sei. Donne sopra i trenta e uomini ancora oltre. Le donne parlavano di facebook e di come vari malati le avessero fatto avance più o meno educate ma il mio sguardo cadeva sugli uomini: uno tondo come un barile in cannottiera e pantalone bianco con capelli asfaltati all'indietro e un orecchino grosso come un lampadario sul lobo destro. L'altro con un principio di calvizia e capelli color topo portati lunghi in una specie di codino dei poveri che intendeva mascherare l'avanzare degli anni. L'ultimo, evidentemente uomo di successo della banda, provava a fare il brillante con le varie cameriere. Senza successo alcuno. In totale tutti e tre sono stati capaci di distrarre il personale dalla solitaria figura armata di libro che non smetteva di ordinare Kilkenny dal bancone (io).



Ora li derido ma la verità è che sono a tanto così da essere come loro. Siamo piccoli sognatori appesi al baratro da fili di ragnatela che noi fingiamo siano robuste corde. Sotto c'è il baratro. Dietro di noi nulla se non un fiume di parole o immagini che per la prima volta va a cozzare contro la diga eretta dal mondo vero. Camminiamo sul nulla fingendo di essere artisti mentre invece siamo camerieri, commessi, salumieri e centralinisti che nel tempo libero sognano di diventare artisti.



Ci accontenteremmo di poco: scrivere la parola giusta al momento giusto, chiudere gli occhi e raccontare una fiaba che in realtà parla del mondo reale. Forse non abbiamo capito nulla, forse le nostre menti sono solo naturalmente portate a crearsi problemi quando invece è tutto così semplice:

lavora, guadagna, spendi, mangia fotti e muori. In silenzio e senza agitarsi che ci sono altri dietro di te che stanno aspettando educatamente. In silenzio che “poi fa brutto”.

Noi invece vogliamo passare con un grido.