venerdì 2 marzo 2012

pensavi davvero...

Certe volte mi piglia a male. Come quando ti fai una canna e nel rincoglionimento generale non capisci gli altri cosa stanno dicendo, ma sai che ce l'hanno con te. Ti piglia a male come quando piove e perdi l'autobus e solo quando sei arrivato a piedi a casa te lo vedi sfilare davanti.

Certe volte arriva come una fucilata, improvvisa e violenta. Senza nulla da nascondere, come quella coppia di innomorati che si abbraccia sotto il tuo palazzo mentre tu hai quasi dimenticato a cosa servono certi pezzi di cuore. Oppure si intrufola furtiva come il marito che torna a casa in cerca dell'amante. Sale lentamente, un piccola marea di stizza e fastidio che un attimo fa non c'era e che ora ha preso il possesso di tutto il sistema nervoso.



Ti fa incazzare, come un rigore sbagliato al novantesimo. Non si sa il perchè sia arrivata, figuriamoci quando si toglierà dai coglioni.



È come quando ti portano in uno di quei bar fighetti pieni di drink pretenziosi bevuti da studenti di filosofia negli intervalli tra i loro discorsi pretenziosi. E tu, in cerca di un onesta birra, sborsi otto sacchi mentre ti domandi perchè non ti sei ucciso di seghe a casa invece di venire lì.

È come soppesare l'idea di tornarsene a casa solo per ricordarsi che stai senza macchina e ricordi a stento il nome del tizio che ti darà un passaggio a casa, solo per poi lasciarti a due km da casa tua perchè entrare nei vicoli è complicato.



Una vocina il fondo al cervello ti prova a tirar su con le voci dei tuoi amici che ripetono le solite frasi fatte per ogni disgrazia ma al momento non hai intenzione di starla a sentire. Una parte masochista di te vuoi immergersi in quella sensazione come l'ubriacone che potresti diventare, sguazza nella birra e poi nel suo stesso piscio.



Sei una persona pacifica, ti ripeti, ma mentre macini km nella notte preghi con tutto il cuore di incontrare “quello che se lo merita” per sbatterlo con la testa in una saracinesca finchè non ne esce il cervello tirandosi via anche il tuo malumore. Non lo incontri mai. Forse è una grazia di un cielo che sa sempre quanto tirar la corda senza romperla.



Torni a casa. Quello che ci vuole è una doccia e una notte di sonno. Non fai in tempo a formulare quasto pensiero che dalla porta arrivano voci sconosciute: ospiti. Potrebbero anche essere persone simpatiche, magari interessanti. Ci sono delle ragazze. Ma ora come ora non ti senti parte del genere umano.

Ti chiudi in camera, picchi le dita sulla tastiera. È l'unico modo che conosci, pigli pezzi di frustrazione e li pesti sulle pagine. A fatica. Sei uno schiavo condannato alle miniere che colpisce la roccia come se fosse la causa di ogni suo male. Le pepite che trovi sono guardate con indifferenza. È la roccia il nemico.



Sicuramente c'è gente che sta peggio di me: ansie vere, paure concrete ed incombenti. Mal comune e grosso guaio. Mentre chitarre elettriche di gruppi sconosciuti ti stridono nelle orecchie pensi all'obiettivo: il modo più originale per fare la fame.

Suona così vera adesso.



In fondo però: Elvis è morto in una pozza del suo vomito, Kurt Cobain ed Hemingway si sono sparati in bocca, Lovercraft era pazzo.



Tu credevi davvero di usirne indenne?




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