Questo è un sogno, ma credo che meriti
di essere raccontato anche solo per mettere in guardia la gente dai
pericoli dei peperoni a cena.
Sono un aspirante sceneggiatore di
fumetti, e fin qui nulla di nuovo, ma non riesco a produrre nulla
perché sono un nuovo arrivato e gli editori cercano solo la qualità
delle grandi firme. Al che io giungo alla logica conclusione che per
poter pubblicare devo prima fare fuori gli sceneggiatori famosi.
Si inizia con Alessandro Bilotta è il
più semplice perché fin troppo disponibile. È facile metterlo in
trappola. Mi presento come un aspirante disegnatore, usando vecchie
tavole di Capullo ritoccate con Photoshop per sembrare fatte a
matita. Gli strappo un appuntamento e quando è sul posto lo rapisco
e lo interrogo su come si fa a pubblicare. Veramente, non quella
minestra riscaldata che insegnano nelle scuole.
Da lui apprendo che esiste una mafia
degli sceneggiatori che da anni opera come un sindacato degli autori
più importanti. Il loro capo? Bartoli. Devo eliminarli se voglio
riuscire. Bilotta intanto ride, ha una trasmittente addosso. Stanno
arrivando.
Un secondo dopo che gli ho sparato in
testa ed ecco che Giacomo Bevilacqua sfonda un muro gridando “panda
spacca!”. È uno scontro impari fin dai primi secondi. I suoi occhi
cerchiati di nero mi fissano mentre mi sballotta in giro a suon di
pugni. Sono a terra, la pistola è lontana, lui e su di me.
“a panda piace...” carica il pugno,
non ho molto tempo per prendere il coltello “UCCIDERE!” tira il
colpo con forza ma qualche dio pietoso mi da la forza per scansarmi,
non prima di avergli affondato il coltello nella spalla. Si ira come
una bestia ferita pronta a scattare. Recupero la pistola, tre colpi
in rapida successione al petto. È agonizzante mi fissa stupito
mentre si tocca il petto sanguinate: “a panda non piace...morire”
poi va giù.
Stacco, il sogno ha un ottima regia.
Bartoli fuma il sigaro con aria preoccupata sul balcone di casa. Dice
qualcosa al telefono poi mette giù. La figlia piccola gli porta un
Uzi carico.
Il giorno dopo sono sui tetti di Roma a
caccia di Recchioni. È stato incauto, dal suo blog riesco a capire
grosso modo dove abita, le mie fonti fanno il resto. Quando lo vedo
passare esito, mancano pochi numeri al finale di John Doe... è
l'esitazione che mi frega si gira un attimo prima che io prema il
grilletto del mio fucile da cecchino. Lo becco al braccio ma non
stiamo parlando di sprovveduti. Lui sarà sopravvissuto a decine di
attentati simili. Corre via portandosi fuori visuale io mi lancio
all'inseguimento.
Altro stacco, Recchioni corre a casa
sua si fascia rapidamente il braccio offeso poi va alla libreria dei
fumetti. Spinge su un finto dvd di “anna dai capelli rossi” e la
libreria si spalanca rivelando una piccola armeria: due katane, un
cannemozze e due pistole. Senza considerare il pezzo forte ovvio.
Io intanto corro per il quartiere
seguendo i segni di sangue. Credo di essere vicino, lo sono molto più
di quanto credo.
“ehi stronzo!” urla Recchioni con
un piede sul davanzale di casa sua e un RPG in spalla. Nel rombo del
missile si perde il resto della frase. Salto dietro un SUV un attimo
prima che sia troppo tardi. L'esplosione mi scuote come maionese in
un pub. Ci vedo doppio, mi fa male tutto, se non mi riprendo in
fretta mi farà a pezzi. Il tempo di battere le palpebre e lui è su
di me sventolando le katane. I miei timpani sono troppo provati
dall'esplosione per sentire quello che dice.
Scanso il primo colpo, poi il secondo,
estraggo il coltello e paro il terzo mentre il quarto colpo trancia
la pistola. Sono fottuto ed è lì che lui fa il suo unico errore: a
terra viso a viso mi spiega cosa mi farà con quella stramaledetta
spada giapponese e le mie budella. Gli azzanno il naso. Una
ginocchiata alle palle e poi una lotta furibonda che va avanti per
non so quanto. Nell'adrenalina della lotta afferro un sampietrino
smosso dall'esplosione e lo applico ripetutamente alla sua faccia
fino a farne uscire idee e cervello.
Corro verso casa di Bartoli, se la
devo chiudere deve essere adesso, il sangue mi cola sugli occhi. Non
ho idea di come sono entrato ma ora lui è davanti a me mi da le
spalle mentre fissa il paesaggio, un sigaro in bocca e un gatto in
braccio
“e così ci rincontriamo...” dice
calmo.
Punto la pistola vorrei dire che ho
detto qualcosa di incommensurabilmente figo ma la verità è che un
clagore metallico mi richiama alla realtà. Sono nel mio letto, è
passato da un po' mezzogiorno e in cucina qualcuno ha appena fatto
cadere tutte le pentole dalla credenza.
Sono rimasto così male dal non aver
finito il sogno che mi dimentico di imprecare.
Maledetti.
Ps: se uno qualunque di quelli nominati
in questo post leggono la storia faccio prima a scappare in Uganda
che a cercare di vincere l'imbarazzo.
Almeno ne sono uscito bene.
RispondiEliminaMa che roba è?
è la versione romanzata e un po' delirante di un sogno che feci all'epoca.
RispondiEliminaLa seconda parte invece è un raccontino ispirato a tutti quei discorsi sulle mafiosate e i wannabe che si facevano di recente