sabato 18 febbraio 2012

La lunga marcia


non c'è da fidarsi degli amici. Gli amici hanno problemi, hanno paure hanno speranze. Gli amici vanno consolati, spronati, ascoltati e dissuasi. Gli sconosciuti invece passano come il fumo di sigaretta dal finestrino dell'auto.

Non danno fastidi (in genere), non si interessano alla tua vita (in genere) e soprattutto sanno che non devono romperti il cazzo quando non gli rivolgi la parola (in genere).



Per quanto gli sconosciuti abbiano un incredibile dosi di vantaggi noi ci ostiniamo a circondarci di amici. Dopotutto ci serve qualcuno che ci sproni, ci consoli, ci ascolti e quando è il caso, ci giudichi con quella severità che solo un vero amico sa avere.



In una giornata strana come questa può capitare di vedersi con un amica per un caffè e continuare a passeggiare senza meta per sette ore ridendo e scherzando mentre vicendevolmente esorcizzavamo le nostre ansie personali. Non fraintendetemi, un uomo potrebbe camminare mano nella mano da Trento a Reggio Calabria davanti all'invitante promessa di gambe lunghe, seni sodi e uno sguardo ammiccante. Ma non è questo il caso.



C'è un genere di amicizia che sorpassa i confini di genere. Quando si fa conoscenza da passeggini affiancati a cercare di rubarsi il sonaglino tirandosi sberle tutto altro che affettuose. A quell'età non ci si fa caso. L'altra persona esce dal sesso opposto, il cervello non concepisce proprio la cosa.

Il fratello di Belen non si sognerebbe mai di farsela, per lui l'impulso non esiste perché per lui non conta donna.



E così si è marciato come persone in fuga. Fermandoci ad ogni maledetta vetrina con la consapevolezza dei portafogli vuoti. Abbiam vagato tra gli scaffali delle librerie sapendo benissimo che a casa c'erano altre cose ben più importanti da leggere e scrivere.



Abbiamo corso per prendere un bus che non si fermava col fiato corto sulla salita della stazione Tuscolana. Credo che almeno un paio di volte ci siamo persi. Ma lei, che qui ci vive da molto, ha ostentato sicurezza e le strade le hanno dato retta.



Abbiamo sceso il cane sotto la sua casa provvisoria. Quella faina festante che saltava su e giù cercando di bucarmi il giubbotto per la contentezza. Poi a casa.



Un autobus, una metro e un altra metro. I piedi improvvisamente diventati sacchi di terra umida. Le cosce doloranti mentre, da qualche parte, il malumore sale. Te lo dovevi aspettare.

In un attimo speri che tutti quanti siano ripartiti per tornare ai paesi loro e che ci sia finalmente un po' di silenzio.



Manco per il cazzo.



Sono in quattro nella cucina. Ognuna con un utensile diverso in mano che traffica nella sua stanza uccidendo nippoli di polvere e Dio solo sa che altro. Ciao, saluti ecc ecc.



“pensavamo fossi partito di nuovo”

“eh magari mica sono così ricco. Non ti preoccupare non do fastidio, devo solo svenire su un letto”

un espressione preoccupata, quella classica di chi non coglie a volo la metafora. Approfitto dell'esitazione per andare al bagno prima che mi chieda “ma perché non ti senti bene?”



potrei essere volgare.



Un ora dopo apro gli occhi. Di là suoni imprecisati un vociare confuso franco-siculo-partenopeo. E un altra voce sconosciuta, maschile.

Due palle.



Esco in cerca di cibo. La mia espressione e quella di Fred Flinston dopo che l'hanno informato dell'estinzione dei dinosauri. Saluto generico e assalto al frigo. Giuseppe e la fidanzata cenano un altro riccioluto campeggia in camera di Francesca. Quest'ultima intanto sosta in mutande e camicia sula porta del bagno.

Faccia da poker. Lei ostenta indifferenza io la ricambio. Per la faccia e l'umore che ho potrebbe avere addosso un parka. Arrivo al frigo. Lei mi guarda male e chiude la porta.

Non ho ben chiare le regole sociali di qui ma di solito se sei in mutande in una sala comune il problema è tuo se ti vergogni. E poi quante storie! Manco ti avessi chiesto di che marca erano. Ti ho ignorato, ho contato i buchi di tarma sullo stipite e me ne sono andato.



(otto per la cronaca)



si sta facendo tardi. La gente giovane si prepara per uscire. Se Dio vuole tra un po' calerà la pace. Uno ad uno gli sconosciuti fanno il loro fagottino di personalità e vanno ad incontrare altri sconosciuti. A farsi offrire o offrire da bere a sconosciuti, restare bloccati in lunghe code con decine di altri sconosciuti. Per poi tornare a casa, ubriachi sfatti ripetendosi in testa quanto si sono divertiti.



Non è importante la meta, la sappiamo già, sotto due metri di terra con una frase fatta incisa sul marmo. Del viaggio non ce ne può fregare di meno, non abbiamo voce in capitolo. La cosa importante è da chi ti fai accompagnare




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